Tempo di lettura: 4 minuti

«In Colombia, un paese con problemi di guerriglia, narcotraffico, paramilitari e criminalità comune, ci sono 80mila detenuti e un solo morto al mese. In Venezuela, con una popolazione carceraria di 19 mila prigionieri, viene ucciso un detenuto al giorno». Così Humberto Prado, presidente dell’Osservatorio venezuelano delle prigioni, descriveva nel 2005, in un’intervista, la situazione carceraria del Venezuela. Oggi la situazione non è cambiata. Lo confermano i 22 detenuti uccisi ai primi di gennaio nei carceri di Uribana e Guanare. Gli eccidi, accaduti nel corso di rese dei conti tra bande di detenuti, hanno scosso il paese e obbligato il presidente Chávez ad ammettere pubblicamente che poco è stato fatto, negli ultimi anni, per riformare il sistema carcerario. Il tema delle carceri è stato pressoché ignorato nell’ultima campagna elettorale perchè altri erano i punti caldi dello scontro politico, ma di fronte a episodi come questi si impone all’attenzione generale.
Le cifre raccolte dall’Osservatorio descrivono uno scenario impressionante. Nei primi sei mesi del 2006 nelle 30 carceri venezuelane sono morti, per arma bianca o da fuoco, 194 detenuti, mentre i feriti sono stati 407. È in questa situazione che si trovano anche 1.526 stranieri, di ben 52 nazionalità. Esclusi i colombiani, che sono i più numerosi, le comunità più folte sono quella spagnola, l’olandese e l’italiana. Secondo gli ultimi dati disponibili attraverso il nostro consolato a Caracas gli italiani detenuti sono una trentina. Il Venezuela è il paese latinoamericano con il maggior numero di connazionali detenuti.
Abbiamo incontrato Prado nella sede dell’associazione, nel centro storico di Caracas. Gli abbiamo chiesto di spiegarci qualcosa di un sistema carcerario che, tra l’altro, ha detenuto per circa due anni un italiano di 77 anni. È il caso di Osvaldo Capini, condannato a dieci anni per traffico di stupefacenti, che prima di Natale ha ottenuto la libertà condizionata.
Signor Prado, vi sono altri casi di detenuti così anziani nelle carceri venezuelane?
Io credo che non solo ci siano situazioni di questo tipo, ma anche casi di malattie terminali, di persone che muoiono senza cure o perché non vengono portate in tempo all’ospedale. C’è di tutto. Nella nostra Costituzione sono previste misure umanitarie, ma nei fatti succede che uno magari finisce in un’urna funeraria prima che gli diano la misura umanitaria. Il caso del vecchio italiano è il tipico caso in cui dovrebbe essere applicata una misura alternativa. La situazione dei detenuti stranieri è particolare, comunque.
Perché?
Perché provengono da ben 52 paesi diversi e le rappresentanze diplomatiche non si comportano tutte allo stesso modo. Ci sono rappresentanze diplomatiche che non fanno visita ai propri connazionali in carcere perché, dicono, sono dei criminali che non fanno onore al paese. Ma anche chi riceve le visite del consolato subisce una violazione di diritti minimi solo per il fatto di stare in queste carceri in queste condizioni. Non viene per esempio rispettato un principio internazionale che prevede che i detenuti devono essere classificati per età, tipo di reato, pericolosità. Un vecchio di 77 anni non può essere rinchiuso con un ragazzo di 18. E poi molti sono in attesa di giudizio.
Cosa possono fare i consolati?
Di fronte a questa realtà dovrebbero fare qualcosa di più di quello che sta scritto nella tabella dei loro compiti, stabiliti dalle leggi di ogni paese. Dovrebbero aprirsi ai problemi oggettivi dei detenuti in questo paese, anche alla parte umana del loro dramma.
Quali sono i principali problemi del sistema carcerario venezuelano?
Negli ultimi anni la violenza è cresciuta. La popolazione carceraria non è più armata solo con i chuzos (armi bianche costruite dagli stessi detenuti, ndr), che sono le armi normali in tutte le prigioni che ho visitato nel mondo, ma anche con altre armi bianche prodotte all’interno e, soprattutto, con pistole di differenti calibri, fucili, diversi tipi di granate. Recentemente è stata sequestrata perfino una mitraglietta Uzi. Eppure il ministero della Giustizia ha dichiarato che il maggior problema delle nostre carceri è il ritardo processuale, come se il governo non sentisse come un suo problema il rispetto della vita, l’affollamento, il mantenimento delle strutture, il reclutamento di personale adeguato. Secondo questa osservazione, tutti i problemi sarebbero in campo ai tribunali e alle procure che non mandano avanti i processi.
Da quando Chávez è al governo qualcosa è cambiato? Negli scorsi mesi il governo ha illustrato un progetto da 60 milioni di dollari per un grande e moderno penitenziario.
Prima del 2000, quando è stata approvato il nuovo Codice organico processuale penale, c’erano 30mila detenuti nelle nostre carceri. Dopo la riforma, che ha modificato i termini del giudizio penale, ne sono rimasti in carcere 12mila. È stata data soluzione temporanea all’affollamento, ma in questi anni il governo non ha decentralizzato un solo carcere, mentre nella Costituzione c’è un mandato imperativo per fare questo, per affidare le carceri ai poteri regionali e comunali. Non serve costruire un mega carcere, ma decentrare le soluzioni. E poi la legge dice che nelle carceri deve lavorare personale penitenziario con credenziali universitarie. Ebbene, in Venezuela esiste l’Istituto universitario di studi penitenziari, creato nel 1992 e unico in America Latina, che ha visto laurearsi circa 500 persone, ma solo il 5% di queste lavora nelle carceri.
Quali sono le soluzioni che proponete per cambiare la situazione?
Al governo da tempo abbiamo detto che secondo noi è indispensabile istituire i «Tavoli inter-istituzionali regionali» (Mesas Interstitucionales Regionales), affinché ogni stato gestisca i suoi problemi penitenziari, non il ministero della Giustizia. In questi «Tavoli» dovrebbero essere presenti tutte le istituzioni interessate, dal direttore del carcere, al governatore dello stato, alle autorità sanitarie, alle università, alla chiesa, alle Ong. I punti fondamentali da affrontare sono quattro: l’affollamento, l’accesso alla giustizia, l’inattività dei detenuti, le infrastrutture. Non serve costruire nuove carceri senza porre soluzioni a questi problemi.

Per maggiori informazioni sull’Observatorio venezolano de prisiones: http://www.ovprisiones.org. Altre informazioni sulle carceri in Venezuela, nel sito del ministero della Giustizia: http://www.mij.gov.ve