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Ragazzi chiusi, isolati rispetto ai coetanei, privi di interessi, che vanno male a scuola o saltano le lezioni per intere settimane. “I primi segni di un disturbo schizofrenico sono simili alla depressione. Dai 16 anni inizia la fase piu’ critica, e oggi nel 60-70% degli adolescenti queste ‘spie’ si accompagnano all’uso di droghe. Soprattutto cannabis e cocaina, ma anche alcolici”. Parola di Alberto Siracusano, ordinario di Psichiatria dell’Universita’ di Roma Tor Vergata, oggi a Napoli per il Congresso sui ’50 anni di innovazione nel trattamento farmacologico delle psicosi schizofreniche’, organizzato da Janssen-Cilag.

“L’uso di sostanze oggi accompagna sempre piu’ spesso il disturbo schizofrenico nei giovanissimi. Ma abbiamo anche scoperto che prima il ragazzo viene trattato, migliore e’ la risposta. Dunque e’ fondamentale che i primi campanelli d’allarme non siano trascurati o sottovalutati. Genitori, medici di famiglia e scuola sono i primi a doverli captare. E non bisogna vergognarsi, in caso di dubbi, di consultare uno specialista”.

Un ragazzo con questi problemi non e’ semplicemente chiuso o problematico. “E’ isolato, non vede i coetanei, non fa sport. Sorride poco e anche il ritmo sonno-veglia e’ alterato. A volte sviluppa bizzarre credenze sul funzionamento del mondo”, prosegue lo psichiatra. “Da uno studio condotto di recente a Tor Vergata abbiamo visto che le persone con disturbo psicotico avevano spesso subito, negli anni, un’importante serie di traumi: abusi, maltrattamenti, lutti. Fra i fattori di rischio c’e’ anche la familiarita’. Si tratta dunque di aspetti che vanno esaminati, per un trattamento che sia mirato e personalizzato”.
E’ fondamentale “rompere il silenzio”, gli fa eco Claudio Mencacci, del Dipartimento di Psichiatria del Fatebenefratelli di Milano. “Sappiamo, infatti che il 68% delle famiglie non comunica agli altri che al suo interno c’e’ una persona che soffre di un problema di salute mentale”. Un sorta di congiura del silenzio che va spezzata per aiutare i pazienti. “Dando messaggi di speranza oggi, infatti, con farmaci e psicoterapia si possono davvero aiutare malati e famiglie”.

Ad essere cambiato e’ lo stesso approccio dei medici alle cure. “Troppo a lungo il punto di vista dei pazienti in termini di qualita’ di vita non era di molto interesse per i medici. L’importante era che i medicinali portassero alla remissione dei sintomi – spiega Dieter Naber, direttore del Dipartimento di Psichiatria del Centro medico universitario di Hamburg-Eppendorf, in Germania – Si e’ visto che, invece, e’ cruciale l’aspetto degli effetti collaterali, ecco perche’ nelle ricerche i pazienti segnalano, rispetto ai ‘camici bianchi’, maggiori differenze tra gli antipsicotici di prima e di seconda generazione”.

Ora si e’ piu’ attenti. Anche perche’, dai dati presentati al convegno napoletano, emerge che entro 18 mesi il 74% dei pazienti in media interrompe un trattamento prescritto. Le cure devono essere ritagliate su misura. Ed e’ cruciale, secondo gli esperti, una maggior conoscenza. “Accade che un paziente non risponda ad un antipsicotico – concludono gli specialisti – ma reagisca bene ad un altro, con un meccanismo d’azione molto simile, per motivi ancora sconosciuti”.