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Sull’operazione “soldati nelle città” ha già detto tutto il ministro della Difesa La Russa, il quale si raccomanda di farli andare in giro “a piedi, per garantire il massimo della visibilità”. Si tratta dunque della classica operazione di facciata, ma in tempi di così grama immagine dello Stato, che appare sdrucito e indebitato, salvare la facciata è un po’ come salvare la faccia. Vedere qualche uniforme in più in giro per le strade, se non si è nei paraggi di Bolzaneto, può servire a dare qualche vaga certezza in più sulla permanenza di qualche comfort di carattere pubblico in un’epoca storica nella quale l’occupazione principale (di tutti) è consumare cose e denari, e la preoccupazione principale è il suo contrario: non avere abbastanza cose e denari da consumare. Il resto in fondo, Stato compreso, è diventato un optional.

È un periodo, questo, che vedere più o meno asfaltate le strade, più o meno efficienti le scuole, più o meno soccorrevoli gli ospedali, è di per sé una inattesa consolazione. E dunque il drappello di soldati della Repubblica che dovesse apparire al fondo della via, a presidio di ambasciate e ambasciatori, di monumenti e musei, non solo non ha niente di minaccioso, ma ci apparirà come lo strenuo tentativo dello Stato di mostrarsi con le uniformi a posto e i bottoni lucidi. Dimostrando, nel contempo, che il numero dei bamboccioni e dei fannulloni (si dice in certe lande del Nord, parlando di giovanotti aitanti quanto socialmente inutili: giandoni) non è così esorbitante da impedire al ministero della Difesa di allestire alcune centinaia di animosi manipoli per abbellire e munire le nostre città.

Insomma bene: la vecchia ronda, al pari dei carabinieri a cavallo e di qualche cambio della guardia visibile anche dai turisti giapponesi, torna a far parte degli arredi urbani, indica volontà d’ordine e di decoro pubblico. Meno sicuro è l’effetto che l’esile pattugliamento – tremila soldati in tutto, sparsi in una decina di città – avrà su terroristi e delinquenti, scippatori, spacciatori, teppisti, bulli, artisti futuristi, magari commilitoni politici di La Russa, che vogliano pitturare di nero o di vermiglio le facciate insigni e scrostate (poco virili, che diamine) di qualche monumento. Presidiare Fontana di Trevi, la storia insegna, è strategicamente più arduo che battersi per l’Amba Alagi.

Le forze di polizia, per bocca dei loro sindacati, hanno già fatto sapere che avrebbero gradito, piuttosto che aggiungere ai loro tanti doveri quello di dover scortare i giovani militari, inesperti di ordine pubblico, qualche taglio in meno ai loro bilanci dissestati. Un pieno di benzina in più, quando la guardie devono inseguire i ladri, farebbe più comodo di un bersagliere a piedi, per quanto forte corra e suoni la tromba. Si rischia, per giunta, che la già delicata ripartizione dei compiti tra le nostre molte polizie (carabinieri, poliziotti, finanzieri, forestali) si complichi ulteriormente: già si sorride della composizione – come dire – multiculturale dei drappelli in allestimento, due soldati e un carabiniere, oppure due soldati e un poliziotto. Familiarizzeranno? O confrontando stipendi e dotazione di armi e bagagli nasceranno nuove gelosie, nuovi malintesi, nuove rivalità di carriera?

In ogni modo, è con serena rassegnazione e addirittura con malcelato favore che assistiamo all’ennesimo tentativo di allungare la coperta davvero molto corta dell’intervento pubblico. La figura del soldato, tra l’altro, sebbene le nuove specializzazioni “di pace”, e il serio rischio della vita, l’abbiano recentemente rilanciata, è un poco in ombra nel costume nazionale. Con la leva obbligatoria molte città erano piene di ragazzi in divisa, zeppi i biliardi e le trattorie, e il cinema “per militari”, in genere generosamente scollacciato, di bassa lega ma di amena fattura, fu un genere glorioso ai tempi dei nostri padri e fratelli maggiori. Quando Morandi partì per il militare (soprannome “Giberna”) il Paese intero lo seguì con simpatia, quanto oggi Fabrizio Corona nelle sue fiammanti uniformi da buro firmato: e se permettete, era molto più elegante Giberna (e più elegante quella vecchia Italietta).

Forse dunque, dispersi nel caos urbano, sommersi da turisti e passanti, riusciremo ad avvistare qualche soldato per la strada. Chi non ha figli o parenti che hanno scelto quel lavoro potrà aggiornarsi sulla foggia delle uniformi: avranno risentito dell’italian style, oppure l’avranno scampata almeno loro? Dopotutto, il solo fatto che ne abbiano una, di uniforme, è la testimonianza preziosa che esiste ancora uno Stato. Improbabile invece – ed è un vero peccato – che ci sia un ritorno di fiamma del glorioso “cinema per militari”. Sono troppo pochi per fare tendenza: una volta erano un popolo, ora nemmeno più un target interessante per la pubblicità.

(30 luglio 2008)