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Prima o poi doveva accadere. E’ impensabile che una pentola a pressione possa bollire all’infinito senza una valvola che riesca a far calare la temperatura sempre in salita. E il Centro di Identificazione e Espulsione di Lampedusa bolliva dal 26 di dicembre, quando raggiungeva il massimo di «ospiti» (circa 1800) che si sarebbero fermati non più per due giorni, ma per due mesi. Come stabilito dalle nuove norme governative. I barconi della disperazione arrivavano come traghetti in tempo di vacanze e sbarcavano centinaia di poveracci che dovrebbero essere identificati e rimpatriati entro i famosi due mesi che si stanno rivelando un tempo infinitamente breve. E intanto centinaia di esistenze si sono arenate in una struttura pensata per contenere al massimo 350 persone. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: sovraffollamento, rissosità, paura delle malattie, assenza delle minime condizioni igieniche e di dignità. Così si è espresso il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione parlamentare per la tutela e la promozione dei diritti umani, a conclusione di una visita ufficiale avvenuta mercoledì 11 febbraio.

I parlamentari annotarono diligentemente un diario del dolore che è stato poi indirizzato anche al ministro Maroni sotto forma di relazione particolareggiata. Due giorni dopo fu la volta della visita di una delegazione di deputati europei di Rifondazione comunista (Agnoletto e Catania) che assistettero persino ad atti di autolesionismo di persone che si considerano «prigionieri», alla stregua dei reclusi di Guantanamo. Basterebbe ricordare i due uomini che si tagliuzzavano il corpo per guadagnare un posto in infermeria o quegli altri che si sono lasciati cadere nel vuoto con una corda al collo. Per non parlare di casi (pericolosissimi) di giovani disperati capaci di iniettarsi nei muscoli le proprie feci per provocare febbri alte. Tutto questo accade al CIE di Lampedusa, dove oggi vegetano 974 ospiti, la gran parte tunisini, un algerino e un egiziano. Tutti maschi, tranne le 10 donne e otto minorenni sistemati nella Base Loran dell’Isola, insieme con un piccolo gruppo che chiede asilo politico. No, non era tranquilla, neppure prima di ieri, la situazione. Il campo è presidiato da 430 uomini in tenuta antisommossa e i rapporti non sono idilliaci. Tanto che gli stessi funzionari dell’Onu sconsigliano l’ingresso negli spazi destinati agli ospiti.

Ed anche i responsabili sanitari hanno il loro bel da fare a limitare la permanenza in lunghi diversi dalle infermerie dove sostano i pazienti già selezionati. Ogni estraneo al Centro è visto come un possibile «salvatore» e a lui vengono mostrati lividi e ferite, nella speranza di poter guadagnare la libertà. Ma l’unica via di fuga sarebbe l’elicottero del 118 che, però, accorre raramente: solo per persone davvero in gravi condizioni. Gli altri rimangono affidati alla mezza dozzina di medici dell’ospedale locale e di «Lampedusa Accoglienza». L’igiene è la vera piaga. I rubinetti funzionano male, l’acqua viene erogata da un distributore centrale, i cessi sono regolarmente intasati. Ma non è facile la manutenzione: prudenza impone che gli operai manutentori debbano lavorare completamente «coperti» da agenti armati. Testimonianze univoche descrivono rivoli di urina che abbandonano i gabinetti privi di porte (per motivi di sicurezza) e invadono le stanze da letto. Ecco, i letti: cuccette a castello in stanze quattro metri per sei. La capienza dovrebbe essere di 12 persone per stanza, oggi ne accolgono 25. Gli «esuberi» trovano posto sulla gommapiuma sbattuta sul pavimento. Luci quasi sempre accese, perché in quel groviglio si mangia anche.

Lunga fila alla mensa, dicono i parlamentari della Commissione, «senza tavoli»: il piatto caldo arriva freddo a causa della lunga attesa in fila, poi panino e acqua. E non va meglio la distribuzione del kit per l’igiene personale. Annota la relazione della Commissione che i responsabili degli operatori del Campo certificano la distribuzione «ogni tre giorni di kit che contengono due slip e un asciugamano», ma «i trattenuti dicono che le mutande vengono cambiate ogni 10-15 giorni, mostrano i piedi nudi, in molti casi senza calze né scarpe». Anche la rasatura è un problema: non si può chiedere al personale il controllo anche su un eventuale turno di rasatura. E quindi tutti barbuti e capelloni. E si avvicina l’estate, con comprensibile nervosismo degli operatori turistici. Già oggi è difficile trovare posto in aereo, quasi sempre pieni (si tratta di Atr) di poliziotti e carabinieri che vanno a dare il cambio (ruotano ogni due settimane) ai colleghi in fine turno. No, non appare rosea la prossima stagione turistica.