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Tra due camion su una vecchia ferrovia abbandonata di Karachi, costellata di rifiuti incandescenti, alcuni adolescenti “si fanno” sotto gli occhi stanchi di bambini che stanno andando a scuola. Punto di smistamento dell’eroina afghana, il Pakistan e’ diventato dipendente a questo oppiaceo nel bel mezzo di una epidemia di Aids. E la situazione non fa che aggravarsi con la produzione record di oppio di quest’anno (5.500 tonnellate), ingrediente base dell’eroina, nei campi afghani proprio prima del ritiro delle forze Onu previsto per il 2014. L’Afghanistan produce il 90% dell’oppio mondiale. E circa la meta’ della produzione transita attraverso il Pakistan prima di essere esportata clandestinamente in Europa o Asia, nascosta essenzialmente in grandi container che partono da Karachi, porto tentacolare di 20 milioni di abitanti sul mar d’Arabia.
Ma la droga non solo passa attraverso il Pakistan: una parte ci resta e aggrava le ferite già aperte della miseria. Il Paese, 180 milioni di anime, conta ormai piu’ di un milione di consumatori di eroina, la meta’ dei quali la assume per via endovenosa. “A Karachi trovate tutta la droga che volete”, dice Shahzad Ali, con lo sguardo da folle e la mano sinistra gonfia per le continue iniezioni. Come altri, cammina barcollante sulla vecchia ferrovia del quartiere Musa Colony dove dei giovani abitualmente “si fanno” vicino a monticelli di immondizia ancora fumante che altri disgraziati selezionano in cerca di tutto cio’ che potrebbe essere consumato o rivenduto. Seduto dietro la finestra della sua clinica mobile, Mohammad Imran distribuisce, per conto dell’ONG Pakistan Society, delle siringhe nuove ai drogati. Ex-ricercatore tra i rifiuti e rivenditore, ha fatto anche lui il medesimo percorso durante gli ultimi anni, travestito da donna, prima di smettere. “Io sento cio’ che loro sentono, io comprendo i loro problemi”, dice con un soffio di voce questo cinquantenne testimone della crescita dell’eroina nei quartier sfavoriti dove una dose costa oggi solo 50/100 rupie (35/50 centesimi di euro), una piccolissima parte di quanto costa in Occidente. “Il Pakistan, Paese di transito, e’ diventato nel corso del tempo un consumatore”, conferma Cesar Guedes, capo dell’agenzia Onu di lotta contro la droga (Unodc) in Pakistan. “I trafficanti sono pagati in contanti e poco”, spiega.
Scambi di siringhe e Aids, un cocktail tossico
Se Imran si e’ bucato per venti anni, oltre a battere il marciapiede, non si e’ mai contagiato con l’Aids, e per questo ringrazia il cielo. Il virus non ha fatto altrettanto con Tarek Abbas, eroinomane con le guance scavate, un respiro rauco come granulare, a guisa di voce. Diagnosticato come sieropositivo da due anni, oggi conduce la sua vita come un fardello tra le strade di Karachi. “La mia famiglia mi ha abbandonato, le persone non vogliono piu’ sedersi con me… vorrei semplicemente suicidarmi, ma e’ ‘haram’, un peccato per l’Islam”,  confida. Tarek non e’ solo. Nel “Paese dei puri”, circa il 30% degli eroinomani per via endovenosa e’ sieropositivo, una delle percentuali piu’ alte al mondo, rispetto all’11% del 2005. Per tentare di far fronte alla crisi, alcune ONG distribuiscono siringhe nuove nei quartieri poveri di Karachi. “All’inizio le persone dicevano che promuovevamo la droga, ma poi hanno compreso che gli eroinomani trovano sempre un modo per avere la loro dose fissa”, spiega la dottoressa Maria Atif, piccola donna luminosa col viso circondato dal velo che lavora con la Pakistan Society. Alcuni eroinomani passano ogni giorno nei loro uffici per rifornirsi di siringhe e preservativi, lavarsi, bere del té e concedersi una pausa salutare prima di ributtarsi nei meandri di una citta’ in preda a tutti i traffici che fanno guadagnare una sanguinante guerra di bande.
Eroina contro cocaina, il “new deal”
All’ombra di questa situazione di crisi, Karachi e’ diventata, nel corso degli ultimi anni, il teatro di un nuovo crocevia tra l’eroina afghana destinata ad Europa ed Asia, e la cocaina importata dall’America del sud. Nel 2010, le autorita’ pakistane hanno sequestrato per la prima volta della cocaina, ben 226 chili, che ha dato fiato alle voci di una collaborazione tra i cartelli latino-americani e i baroni pakistani della droga, come i talebani che si finanziano in parte con questo traffico. Eroina e cocaina arrivano in sacchi grossi e si incrociano nel porto di Karachi. “Si tratta di un baratto?”, si domanda Akbar Khan Hoti, capo dell’unita’ antidroga del ministero dell’Interno. Nel primo porto del Pakistan, le dogane locali dispongono di un solo cane da sniffo per la droga, secondo quanto dicono alcune fonti interne, e mancano incredibilmente degli scanner giganti in grado di filtrare il contenuto dei 3.000 container che vi transitano quotidianamente.
Dall’inizio dell’anno, “piu’ di una tonnellata di cocaina”, secondo Hoti, e’ stata sequestrata nel porto di Karachi, indice di una crescente domanda per la polvere bianca nel “Paese dei puri”. Ed ogni fine settimana, tra i ricchi di Karachi, alcuni giovani pakistani fiutano delle linee di coca durante alcune feste d’élite o degli incontri in piccoli gruppi. “La cocaina e’ definitivamente di moda, soprattutto presso i giovani di 25/35 anni, che cercano evasione. Non hanno altro da fare”, assicura Hussain (nome di fantasia, ndr), un giovane quadro tornato da qualche anno in Pakistan dopo aver studiato all’estero. “Da qualche anno, il consumo di cocaina e di anfetamine ha il vento in poppa presso i ricchi”, conferma un alto responsabile pakistano della lotta antidroga. A piu’ di 10.000 rupie al grammo (70 euro), l’equivalente di un mese di salario minimo, i miraggi della cocaina restano inaccessibili a chi cammina a piedi nudi, dimostrazione della netta separazione tra classi sociali in un Paese a livelli feudali dove ognuno scappa dalle proprie opposte realta’, che si incrociano senza mai toccarsi.