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Si chiamava Oussama Sadek, l’8 dicembre si è suicidato nella Casa circondariale di Montorio, Verona. È il terzo suicidio in un mese in questo carcere, in un 2023 che ne ha già contati complessivamente 66.

È un dramma ogni morte e ogni suicidio in carcere, ma la morte di Oussama apre a interrogativi allarmanti. L’associazione Sbarre di Zucchero, nata proprio a Verona grazie alle compagne di Donatella Hodo dopo il suo suicidio in carcere, rilancia la voce dei detenuti della sezione di Oussama, che descrivono una dinamica fatta di omissioni e mancata sorveglianza e chiedono alle autorità competenti di fare chiarezza.

Ricordano che era “una persona rispettosa, che era amata e benvoluta da tutte le persone della nostra sezione in modo unanime, senza distinzione di razza, di etnia, di provenienza e di credo religioso”, e che “lamentava apertamente e dichiaratamente un grave disagio psicologico, fortemente aumentato da alcune settimane, e lo aveva posto all’attenzione del corpo penitenziario di turno, che a sua volta lo aveva prontamente e ripetutamente segnalato ai responsabili sanitari”. Il primo punto è proprio quello dell’assistenza: dicono i compagni di Oussama che i medici “non sono intervenuti nei tempi e nei modi necessari, tant’è che il disagio è divenuto per lui sempre più insopportabile, nonostante fosse risaputo e certificato che vi erano già stati precedenti tentativi di suicidio, in particolare uno di rilevante gravità presso l’ospedale di Rovigo circa un anno fa”. Dopo una – tardiva – visita psichiatrica, durante la quale Oussama, sofferente e disperato, avrebbe avuto comportamenti aggressivi verso lo psichiatra, è stato rinchiuso in una cella di isolamento vicino all’ufficio matricola, scelta questa che i detenuti indicano come sbagliata e inspiegabile: “sezione di isolamento matricola, dove era approdato nella giornata di martedì 5 dicembre, su ordine proprio del responsabile sanitario psichiatrico, al quale per altro era stata sconsigliata tale ipotesi di isolamento in quanto era preferibile che rimanesse nella sua abituale cella nella nostra sezione dove poteva essere guardato a vista da noi detenuti, come era avvenuto fino al giorno prima, lunedì 4 dicembre 2023, a seguito della relativa autorizzazione della polizia penitenziaria responsabile della sezione, in quanto trattandosi di sezione chiusa non era possibile vigilarlo in via ordinaria”. Si sarebbe potuto inviarlo “presso un più adeguato reparto psichiatrico di ospedale o, alla peggio, presso l’infermeria psichiatrica del carcere”, scrivono, dove una osservazione costante avrebbe potuto salvarlo.  La scelta di quella cella di isolamento, lontana dai compagni e lontana dalle sezioni, secondo i detenuti è stata determinante: “ noi stessi detenuti senza titoli medici specialistici ci rendevamo palesemente conto del forte disagio emotivo del nostro defunto compagno, come poteva confermare anche la polizia penitenziaria, andava solo trattato e compreso diversamente, immaginiamo secondo i canoni della ‘buona prassi medico sanitaria psichiatrica’; se ciò fosse avvenuto non ci troveremmo oggi a piangere l’ennesimo compagno che nella disperazione ha fatto la peggiore scelta possibile, ossia la morte

I detenuti della sezione 5^ corpo 3, con Sbarre di Zucchero e insieme alla voce anche della Camera Penale di Verona, si appellano a Tribunale e Magistrato di Sorveglianza di Verona e al DAP del Veneto perché si faccia chiarezza su una morte che avrebbe potuto essere evitata.