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In questi giorni hanno fatto molto discutere, tra gli addetti ai lavori, le «Indicazioni regionali per contenere i fenomeni di misuso e diversione dei farmaci oppioidi e ridurre il rischio di eventi avversi collegati» emanate della Regione Umbria (scaricabili qui). In altre parole, nuove misure per la somministrazione di metadone e buprenorfina. Due farmaci utilizzati in tutta Italia nella terapia per dipendenza da oppiacei come l’eroina e dispensati alle circa 90mila persone che nel 2018 (ultimi dati disponibili) risultavano in trattamento farmacologico nelle 626 sedi dei Servizi per le dipendenze (SerD) presenti sul territorio nazionale. Al centro del provvedimento, «la procedura di affidamento della terapia», sulla quale la Regione Umbria sostiene di aver voluto «porre attenzione con l’obiettivo di contenere il rischio di misuso/diversione dei farmaci oppioidi dispensati dai SerD». Oltre a ritenere il consumo problematico di oppiacei una «patologia», a mettere sul piede di guerra diversi dirigenti e operatori dei SerD umbri (e non solo), tutta una serie di paletti posti dalla Regione per «l’accesso alla procedura di affidamento della terapia» e dei criteri che possono portare ad una sua «esclusione». Tra questi, l’avere tracce di un qualsiasi stupefacente nel test delle urine settimanali o la poliassunzione, quindi ad esempio l’essere dipendente dall’eroina ma usare ogni tanto cannabis. In altre parole viene richiesta la completa astinenza da qualsiasi sostanza psicoattiva, pesante o leggera che sia, usata in modo consapevole o problematico poco importa. Altro criterio di esclusione dall’affido a far discutere, i «comportamenti aggressivi o violenti, agiti presso il servizio o di cui il servizio sia a conoscenza».

Il provvedimento arriva a poco più di 3 mesi da un tragico caso di cronaca che ha scosso l’Umbria: la morte di 2 giovanissimi avvenuta lo scorso 6 luglio a Terni per l’assunzione di un mix di sostanze, tra le quali sicuramente metadone acquistato in strada da un 41enne in trattamento presso il locale SerD. Nelle sue indicazioni, la Regione ha individuato anche una serie di «rischi di natura sanitaria, ben documentati, dovuti al misuso e alla diversione». Tra questi, «un impatto negativo sulla pratica prescrittiva del clinico». Ma anche «sulla reputazione dei servizi che dispensano il trattamento, con possibile compromissione dell’accettazione pubblica della necessità di un trattamento a lungo termine per i pazienti affetti da tale patologia».

Il procuratore di Terni, Alberto Liguori, ha del resto detto il 22 luglio, senza troppi giri di parole, di aver acceso i riflettori investigativi sui SerD. Con chiaro riferimento al metadone, il numero uno della procura ha ad esempio tuonato: «Non si uccide solo dando il porto d’armi a chi ha precedenti penali, ma anche dando droga “autorizzata” (…) è lecito chiedersi se i programmi dei servizi sanitari territoriali hanno o meno linee guida, se l’affidamento terapeutico domiciliare ha un suo percorso ragionato ed una sua affidabilità». E ancora, «vogliamo capire se gli interpreti di questa disciplina hanno piena consapevolezza dell’arte medica. Il tema è quello, che riguarda tutti, delle colpe professionali: è tempo di interrogarci, anche su quelle linee guida che danno una discrezionalità tecnica che deve essere comunque motivata e guidata». Detto fatto, in seguito a non meglio specificati «eventi avversi collegati», sono arrivate le nuove indicazioni regionali. Il tutto sulla pelle delle 2.516 persone che nel 2018 risultavano in trattamento in Umbria presso i 21 medici degli 11 SerD regionali, molti dei quali ora rischiano di dover andare al servizio ogni giorno in piena emergenza Covid-19.

Indicazioni gravi, frutto di scelte politiche proibizioniste

Tra i criteri di esclusione dall’affido, a far discutere sono i «comportamenti aggressivi o violenti, agiti presso il servizio o di cui il servizio sia a conoscenza». Per Stefano Vecchio, presidente di Forum Droghe nonché direttore del Dipartimento dipendenze della Asl Napoli 1 Centro, questo parametro «trasforma i servizi sanitari in presidi di polizia, una vera e propria assurdità». A suo dire «ancora più grave» è la richiesta di sospendere gli affidi in caso di poliassunzione: «Se il trattamento e l’affidamento di un farmaco sono il risultato di un accordo e di una negoziazione tra il servizio e le persone – ricorda Vecchio – il consumatore esprime le proprie esigenze, i propri bisogni e i propri obiettivi, mentre il servizio gli spiega quali sono i limiti, anche legali, entro i quali è possibile cercare di realizzarli insieme. Se fondata su questo, l’obiettivo non può di certo essere predefinito». Per chiarire meglio il concetto, il presidente di Forum Droghe porta poi un esempio concreto: «Se il nostro obiettivo è migliorare le relazioni sociali o il rapporto con la famiglia, io punto a questo. La persona in questione può anche usare cannabis, cocaina saltuariamente o bere ogni tanto un bicchiere di vino. Oppure perdere ogni tanto il controllo ma se non delinque e continua a mantenere con se stesso e con la famiglia un rapporto adeguato – ammette Vecchio – la nostra valutazione deve essere sempre complessiva».

«Per quale motivo se una persona fuma uno spinello o usa eroina ogni tanto bisognerebbe interrompergli l’affido del trattamento?», si chiede il dirigente della Asl Napoli 1 Centro. Il motivo di questa «scelta politica», per Vecchio, è molto semplice: «Ritengono queste persone dei malati che se usano nuovamente l’eroina si riammalano, una teoria completamente infondata. Oppure mirano a valutare i comportamenti con piglio non solo proibizionista ma quasi giudiziario, considerando l’uso di qualsiasi sostanza fuori dall’orbita definita da un servizio o dalla Regione. Ma al contrario, a noi devono interessarci altri paramenti, quelli sociali e della salute, prendendo in considerazione l’uso o la poliassunzione solo nel caso in cui questi interferiscano con gli obiettivi prefissati, che vanno valutati nell’ambito del contesto personale di ciascuno. E non a prescindere, interrompendo l’affido del farmaco ad un consumatore che sta mantenendo un certo equilibrio, ad esempio lavorando e attenuando i propri comportamenti a rischio. Gli obiettivi devono insomma essere finalizzati per ogni persona», conclude il presidente di Forum Droghe. Parlando di un intervento codificato dalla legge nel Programma Terapeutico Individuale.

Pesano troppi anni di tagli alla medicina territoriale

Sulla stessa linea anche Roberta Balestra, vicepresidente di FederSerd, la Federazione dei professionisti dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, la quale chiarisce subito che «per comprendere se il paziente è prudente, è in grado di gestirsi ed è quindi possibile affidargli la terapia ci atteniamo a tutta una serie di fattori, protocolli operativi e indicatori utili». A questi servizi è attribuita una grande responsabilità, sin dalla loro nascita negli anni ’80 sulla scia dell’epidemia di eroina di quei decenni. Secondo la Balestra «è un ragionamento complesso come i farmaci che gestiamo». Per questo medico, psichiatra e psicoterapeuta, che dirige il Dipartimento dipendenze dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste (Asuits), «l’affido della terapia dipende sì da fattori clinici, normativi e organizzativi, ma col paziente ha soprattutto un significato relazionale e non viene dato quando ci sono dei rischi. Per i pazienti che stanno bene, con un percorso riabilitativo in corso e una terapia ormai stabilizzata – spiega ancora la vicepresidente di FederSerd – la normativa mi consente di affidargli la terapia fino ad un massimo di 30 giorni. Così da sganciarli dal servizio. Il problema, semmai, è che ci sono al contrario persone che preferiresti vedere ogni giorno ma alle quali il venerdì devi tuo malgrado affidare la terapia». Il motivo? «Non ci sono le risorse per tenere aperto il servizio durante il weekend, cosa che avviene nella stragrande maggioranza dei SerD d’Italia, visto che negli anni la medicina territoriale nella quale noi rientriamo è stata impoverita, tagliata, accorciata, sperperata», denuncia ancora la Balestra. La quale ci tiene infine a precisare che «non si possono sospendere gli affidi, ancor di più durante l’emergenza Covid-19 che ha anzi richiesto di allungare le consegne del farmaco e di domiciliare laddove possibile, così da evitare assembramenti e limitare l’afflusso di persone in ambulatorio».

Messe in dubbio le professionalità che lavorano nei SerD

Ma non solo. Perché ad essere messe in discussione nelle nuove indicazioni della Regione Umbria sono anche la professionalità e la competenza dei 21 medici degli 11 SerD del territorio. Il nuovo provvedimento chiede loro infatti di «privilegiare di norma l’utilizzo, come farmaco di prima scelta (…) della buprenorfina/naloxone (attualmente disponibile come specialità commerciale Suboxone)» al posto del metadone. Ecco l’accorato sfogo del dirigente di un SerD umbro che chiede di restare anonimo: «Tutti hanno fatto notare che non è possibile che uno mi dica cosa devo usare, altrimenti faccio un altro lavoro, non il medico. Anche perché alla fine la responsabilità è sempre del medico, che dovrà poi spiegare come, dove, quando e perché. Motivo per cui questa decisione assalta un altro aspetto fondamentale, che è la discrezionalità e capacità del medico di organizzarsi rispetto a quel determinato paziente e situazione. Purtroppo nell’uso di qualsiasi farmaco (quindi non solo della buprenorfina ma anche dell’aspirina) ci sono tutta una serie di fattori da tenere in considerazione. Quindi non è così scontato dire prendi questo o quest’altro farmaco».

Altro già citato criterio per l’esclusione dall’affido, i comportamenti aggressivi avvenuti fuori dai SerD: «Una persona può anche essere violenta, per poi comportarsi benissimo qui al servizio. Ma io cosa posso saperne, noi facciamo un altro lavoro. Anche nel caso in cui ne fosse a conoscenza un magistrato, di certo non verrebbe a raccontarlo a me», chiarisce il dirigente del SerD umbro. Infine, il rischio concreto di dover essere costretti a limitare o sospendere gli affidi in piena pandemia. «Durante il lockdown, come gli altri servizi d’Italia, li avevamo al contrario aumentati. Ora ci troviamo in grande difficoltà, perché se da una parte ci sono le prescrizioni Covid-19 che ti chiedono di limitare gli assembramenti, dall’altra provvedimenti come questo rischiano di provocarne di nuovi». Il dirigente del SerD umbro lo dice chiaramente: «Questa scelta della Regione non si può conciliare con il dover ridurre code e quindi assembramenti». Anche se poi aggiunge, con un barlume di speranza, che riguardo a queste nuove indicazioni «finora nessun servizio ha detto “va bene, faremo così”». Quindi a suo parere, non è ancora stata scritta l’ultima parola: «L’idea iniziale era quella di rendere subito operative queste indicazioni, già trasmesse a tutti i servizi ma non ancora pubblicate proprio grazie alle levate di scudi molto consistenti che ci sono state, di cui mi auguro terranno conto, apportando delle modifiche nella prossima riunione in Regione».

Misuso e diversione: veri problemi o alibi?

A questo punto un’altra domanda sorge spontanea: cosa ha spinto la Regione Umbria ad emanare proprio ora queste nuove indicazioni? A loro dire, come chiarito fin dal nome del provvedimento e dalla letteratura scientifica riportata in bibliografia, per «contenere i fenomeni di misuso e diversione dei farmaci oppioidi e ridurre il rischio di eventi avversi collegati». Per misuso «si intende l’uso del farmaco per motivi non coerenti con le raccomandazioni sia mediche che legali», spiega il testo. Quindi, «l’assunzione della terapia per vie diverse da quelle abituali», come l’inosservanza delle indicazioni fornite dal medico in merito a conservazione e impiego del medicinale, a partire da dosi e modalità prescritte (come ad esempio l’improprio uso per via parenterale). Tutte problematiche, è bene ricordare, che riguardano qualsiasi tipo di farmaco, come ad esempio (si legge anche nelle indicazioni in questione per restare nell’ambito di quelli “ad alto rischio” o “ad alto livello di attenzione”) la «prescrizione di benzodiazepine, barbiturici, farmaci oppioidi utilizzati come analgesici».

Stesso discorso per la diversione, vale a dire la cessione non autorizzata del farmaco ad altri o la sua vendita al mercato nero. Un fenomeno, secondo gli addetti ai lavori, del tutto marginale: «Nel caso del metadone il numero di casi intercettati restano sulla punta delle dita», secondo il presidente di Forum Droghe e dirigente della ASL Napoli 1 Centro, Stefano Vecchio. «Dal punto di vista statistico, per ora, non è quindi un fenomeno significativo». Gli fa eco Salvatore Giancane, medico tossicologo del SerD di Bologna, il quale ha scritto che in Italia «gli episodi mortali da avvelenamento per farmaci oppioidi (e da metadone in particolare) sono una decina ogni anno, ovvero 500 volte di meno, ad esempio, di quanto accade negli Stati Uniti e molti di meno di quanti se ne registrino ogni anno negli altri Paesi europei». Anche su questo vale forse la pena evidenziare che, secondo alcune stime (i dati su questo sono guarda caso parziali o del tutto incompleti), in Italia le vittime per molecole chimiche farmaceutiche in generale potrebbero essere in una forbice compresa tra le 20.000 e le ben 40.000 l’anno (quest’ultimo dato, secondo la ricerca del 2011 “Sic Sanità in cifre” del Centro studi di Federanziani). Cui vanno annualmente sommate le oltre 44mila intossicazioni, che vedono il paracetamolo al primo posto (soprattutto nei bambini).

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    Aggiunto in data: 2 Novembre 2020 15:57 Dimensione del file: 494 KB Download: 825