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TOLMEZZO. I recenti arresti per cannabis nelle scuole e la risonanza mediatica che hanno avuto sono un’occasione per offrire ai lettori una lettura più approfondita ed equilibrata del fenomeno. Innanzitutto, per riportare l’allarme nelle sue corrette dimensioni, va detto che dalle ultime rilevazioni, svolte nel 2005 nelle scuole superiori di Gemona, Tolmezzo e Tarvisio, l’uso di cannabis fra gli adolescenti dell’Alto Friuli rientra nelle medie per l’età: ne ha fatto uso almeno una volta nella vita uno studente su tre (uno su due fra i ragazzi più grandi), ma il valore scende a 1 su 15 (1 su 12 fra i maschi, 1 su 20 fra le ragazze) se consideriamo solo chi ne fa uso con frequenza, uso che può quindi (ma non sempre) indicare un effettivo disagio. Per quanto riguarda invece altre droghe illegali, l’uso appare fino ad oggi basso, nettamente inferiore alle medie nazionali ed inferiore anche (soprattutto rispetto all’ecstasy) rispetto alla precedente rilevazione del 2002. Preoccupazione sì, quindi, come è giusto parlando di giovani e droghe, ma non emergenza, visto che il fenomeno non è né nuovo né di anomale dimensioni. Niente paura quindi? Purtroppo no, perchè se allarghiamo l’indagine alle droghe legali (che incidono assai di più sulla salute psicofisica della nostra popolazione) i dati sono più preoccupanti, sia per le conseguenze immediate (alcol e inalanti), sia per quelle tardive (alcol e tabacco). Limitandoci all’alcol, fra gli studenti maschi 1 su 4 (1 su 3 fra i più grandi) dichiara di eccedere più volte al mese (1 su 20 addirittura più volte alla settimana). I dati sono più bassi, ma in crescita, fra le ragazze (1 su 9 eccede più volte al mese). E’ vero che diventando adulti molti cesseranno gli abusi, ma alcuni non lo diventeranno, visto che gli incidenti sono la 1° causa di morte sotto i 40 anni, molti avranno ripercussioni sulla crescita psico-relazionale o diverranno stabilmente alcolisti, molte ragazze rischieranno “brutte avventure” (nel nord Europa, dove il problema è più acuto, le gravidanze precoci sono una grave emergenza). Del resto anche i giovani, spesso meglio informati degli adulti sui loro veri problemi, sono più preoccupati per i coetanei che bevono che per quelli che usano spinelli. Più in generale, la stessa condizione giovanile è oggi difficile, per l’evoluzione della società che rende più complesso e incerto quel percorso con cui l’adolescente diviene adulto e trasmette un modello iperconsumistico dove si può e si deve avere tutto e provare tutto: è quindi oggi più alto il rischio della “noia esistenziale”, che porta alla ricerca di emozioni “alternative”, ed è più facile infrangersi di fonte alle normali frustrazioni dell’età. Tornando all’accaduto, un primo pensiero va ai ragazzi denunciati e alle loro famiglie. Hanno bisogno di non essere lasciati soli, di essere in qualche modo “abbracciati” dalle loro comunità, per evitare che un errore commesso, per quanto serio (dire che questi ragazzi non sono “criminali” non vuol dire che non abbiano commesso un reato), ne distrugga la vita. La vicenda porta poi a ripensare la durezza dell’attuale legge, che sfugge finché si pensa colpisca grandi spacciatori e trafficanti, e non i nostri figli o amici. Ma non è così, perché per il possesso o lo spaccio anche di modeste quantità di hashish (più di mezzo grammo di sostanza attiva), alla portata della “paghetta” di molti ragazzini, la pena parte da 6 anni di carcere, che diventano 8 se lo spaccio avviene a scuola. Si rischia meno per rapina a mano armata (da 4 anni e mezzo) o per stupro (da 5 anni). E’ ovvio che non ci può essere divieto senza sanzione, ma per essere efficace l’educazione alla legalità presuppone che colpa e pena siano proporzionate. Bisogna anche smettere di considerare in modo separato droghe legali ed illegali, quando ormai tutti gli studi confermano che il fenomeno della dipendenza è unico, e che le diverse sostanze (droghe illegali, alcol, nicotina, solventi, ansiolitici), e in parte persino le dipendenze comportamentali (come il gioco d’azzardo), hanno alla base gli stessi meccanismi neuro-biologici. Ribadire che è l’alcol il più preoccupante abuso dei nostri giovani non è quindi un modo di spostare il problema, ma la strada più efficace per affrontare il fenomeno delle dipendenze, comprendendo che è un unico grande problema, che non riguarda solo alcuni ma forse la maggior parte di noi. Finché si dimentica che la stragrande maggioranza dei reati violenti correlati all’uso di droghe è causata dall’alcol, che il fumo passivo uccide, da solo, più italiani di tutte le droghe illegali, finché le prediche ai giovani vengono fatte da adulti che eccedono con alcol e tabacco, finché consumare alcune droghe è un crimine e consumarne altre, non meno pericolose, è una simpatica abitudine sociale, finché tutto questo non cambia non riusciremo né a capire il fenomeno, né ad essere credibili verso i giovani che vogliamo educare. Né possiamo illuderci che basti “più informazione”, visto che i medici fumano come il resto della popolazione e i figli degli alcolisti invece di essere vaccinati dall’esperienza sono a forte rischio di diventarlo a loro volta, né che un problema complesso possa essere risolto con soluzioni semplici (tipo “la droga si combatte con lo sport”, cosa purtroppo non vera). Il problema della predisposizione, anche genetica, che rende alcuni più vulnerabili di altri verso l’abuso di droghe, a prescindere dalle informazioni ricevute, è fin qui ben nota agli esperti ma assai poco nella pubblica opinione. Devo dire, in conclusione, che mi conforta il tono dei commenti che ho sentito in questi giorni, da parte di politici, insegnanti e comuni cittadini. Toni diversi dal passato, preoccupati ma non allarmisti, che cercano di capire più che di additare colpevoli. Forse stiamo iniziando ad accettare che questo è un problema che va capito prima ancora che combattuto, che non è un male che si può “estirpare” dalla società, ma una fragilità di molti con cui ci dovremo sempre confrontare. Quello che è successo, proprio perché non riguarda i soliti “spacciatori” ma ragazzi e famiglie normali, può aiutarci ad affrontare il problema in modo più adulto, senza condanne o reazioni di panico, senza pensare che riguardi sempre “altri”, con la consapevolezza che il “male di vivere” non si sconfigge solo con la legge o con l’informazione, e che famiglie ed educatori che sanno trasmettere gusto di vivere, fiducia, interessi, ma anche stili di vita sani (nelle rilevazioni quasi uno studente su 5 riferisce problemi di alcolismo in famiglia), fanno molta più prevenzione di mille discorsi.