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Chi semina vento raccoglie tempesta. E’ stato un deputato dei DS di Padova, Alessandro Naccarato, a contestare per primo la scelta del ministro Ferrero di inserire tra i 70 membri della Consulta sulle tossicodipendenze il nome di Susanna Ronconi, presidente di Forum Droghe. Quella sciagurata iniziativa ha prodotto un ordine del giorno del Comune di Padova di stigmatizzazione e di richiesta di revoca della presenza da quell’organismo della Ronconi in quanto condannata per l’omicidio di due esponenti dell’MSI avvenuta a Padova nel 1974.
Ora è la destra a brandire la clava di una visione primitiva del diritto e di una concezione della giustizia come pura ritorsione.
Infatti il 1° febbraio al Senato è stata presentata addirittura una mozione di sfiducia individuale contro il ministro Ferrero reo di avere nominato “una ex brigatista rossa e successivamente fondatrice di Prima Linea” propria consulente.
Si tratta di un palese falso. La partecipazione alla Consulta, a titolo gratuito, non configura affatto un rapporto diretto con il ministro, ma garantisce la messa a disposizione pubblica del proprio sapere in una sede pluralista che garantisce voce alle diverse opinioni ed esperienze. Una scelta di esclusione di una persona che prima con un lungo lavoro nel Gruppo Abele e poi con gli studi, le ricerche e la riflessione è divenuta un punto di riferimento per tanti operatori, avrebbe costituito una forma di intollerabile discriminazione.
Questo atto della destra non stupisce più di tanto: l’omaggio alla Costituzione è troppo spesso formale e ipocrita e la norma dell’articolo 27 sul carattere delle pene di estrema civiltà e umanità si scontra con il fondo becero di una cultura giustizialista.
Avere scontato la pena non è sufficiente, l’ostracismo deve essere perenne e il reinserimento deve essere accompagnato dal silenzio e, paradossalmente, ancora dalla clandestinità.
E’ come dire che per certi reati la lettera scarlatta dell’infamia non può essere rimossa. Mai. Una pena di morte simbolica, insomma.
Questo rifiuto alla piena cittadinanza non è solo un grave errore politico, ma quel che è peggio, rappresenta un tradimento della vittoria che la democrazia italiana conseguì sulla lotta armata. E’ stato il risultato di una lotta dura in nome dei principi della sacralità della vita e del ripudio assoluto della violenza, che non può contemplare sentenze di morte civile per alcuno.
Queste affermazioni non sono una rappresentazione di buoni principi o di retorica a buon mercato, ma nella storia politica recente di questo Paese si sono concretizzati in scelte concrete e puntuali. Senza memoria non si va da nessuna parte e per questo ritengo utile ricordare la discussione e la approvazione della legge Gozzini prima, e nel 1987 della legge sulla dissociazione. Il Parlamento scrisse una pagina assai significativa e rivendico con orgoglio la mia partecipazione a quel confronto.
La classe politica di vent’anni fa si pose con grande responsabilità, seppure con prudenza e con il limite di non andare fino in fondo, il dovere di affrontare un tragedia collettiva.
La via della soluzione politica si fondò sul riconoscimento da parte di un numero consistente di protagonisti di quella stagione degli errori e degli orrori commessi e si confrontò con le posizioni delle cosiddette aree omogenee che erano nate nelle carceri in contrapposizione all’intransigenza degli irriducibili.
La consegna delle armi al cardinale Martini e lo scioglimento di prima Linea furono i segni tangibili dell’inizio di una conversione.
Un dialogo intenso tra quel mondo recluso e la società civile caratterizzò quegli anni in funzione della riconciliazione sociale. Padre Davide Turoldo, l’architetto Michelucci, don Ciotti in realtà diverse si adoperarono per comprendere e far comprendere.
Che cosa rimane oggi di quel patrimonio di umanità, profuso con tanta generosità e intelligenza?
Le polemiche che hanno accompagnato l’approvazione dell’indulto sono state il suggello di uno spirito forcaiolo diffuso in tante parti, non solo a destra, della nostra società incattivita.
Non credo che queste riflessioni siano fuoriluogo, anche se all’origine della mozione firmata da Schifani, Matteoli, D’Onofrio, Castelli e Cutrufo può esserci una mera strumentalità e un volgare tentativo di mettere in difficoltà il Governo.
Il ministro Ferrero ha respinto ripetutamente e con rigore le critiche inconsistenti e ingenerose e per questo merita una solidarietà piena. Paga il prezzo di scelte che sull’immigrazione e sulle droghe chiedono una profonda discontinuità con le scelte razziste e proibizioniste del governo Berlusconi. Questa partita va giocata non sulla difensiva dall’Unione, ma per affermare, senza timidezze, una diversa concezione del mondo.