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E’ difficile individuare quando sia iniziata la guerra alla droga in Messico. Le piante di cannabis e del papavero (utilizzate per produrre eroina) crescono da decenni lungo le catene montuose della Sierra Madre, colture che dagli anni ’60 sono sono però diventate proibite in virtù dell’adozione della prima Convenzione delle Nazioni unite sulle droghe. Adottare leggi severe, e iniziare a bruciare ettari di piantagioni illecite, non ha concorso ad arginare il traffico di droga in quel Paese, anzi! Negli anni ’80 sono emersi i primi “signori della droga” messicani, come Miguel Ángel Félix Gallardo del cartello di Guadalajara (le cui vicende faranno parte della nuova stagione di Narcos: Messico su Netflix) e da allora la situazione è letteralmente esplosa causando la morte per decine di migliaia di persone e generando flussi di droghe e di danaro difficilmente quantificabili ma più vicini ai triliardi che ai miliardi.

Secondo il rapporto 2017 della Drug Enforcement Administration degli USA, (DEA) i cartelli messicani sarebbero la vera causa dei livelli epidemici di consumo di eroina che causa overdose (e, più recentemente, fentanil). Sappiamo che è un brutto vizio sempre più diffuso dare sempre la colpa a qualcun altro, specie se straniero, ma sicuramente il traffico di eroina dal Messico verso gli USA si è sempre più affiancato a quelli di marijuana e cocaina che da sempre hanno interessato l’America centrale sia perché zona di passaggio (per la cocaina) sia perché di produzione (marijuana). Allo stesso tempo, sempre secondo la DEA, la produzione messicana di metanfetamine è in aumento e i prodotti sono “particolarmente puri e potenti”.
Olga Sanchez CorderoL’ultimo inasprimento della guerra alla droga in Messico è avvenuto nel 2006, l’era più violenta nella storia moderna di quel paese. In quegli anni il neoeletto presidente Felipe Calderón dichiarò guerra ai cartelli e inviò 6.500 soldati nello stato di Michoacán. Quello spiegamento militare fu in seguito rafforzato dalla cosiddetta “Mérida Initiative”, un accordo con gli Stati Uniti per cooperare nella lotta al narco-traffico. Si stima che dal 2008 gli Stati Uniti abbiano donato 2,7 miliardi di dollari al Messico attraverso un’iniziativa mascherata da sostegno tecnico volto a “contribuire a plasmare la politica di sicurezza del Messico”. Il Dipartimento della Difesa USA impiega ingenti risorse umane e finanziarie per collaborare con l’esercito messicano, solo negli ultimi anni oltre 130.000 militari sono stati coinvolti in attività legate alla guerra della droga su base annuale. Quanto per anni perseguito col “Plan Colombia” adesso viene concentrato sul Messico. I risultati sono gli stessi.
Il problema è che lo schieramento dei militari negli ultimi 12 anni ha prodotto effetti devastanti. Ci sono stati 127.000 omicidi legati alla criminalità organizzata; secondo il gruppo Lantia Consultores ci sono poi decine di migliaia di persone scomparse che alcune stime ritengono aver raggiunto la cifra record di 37.000. L’anno scorso il Messico ha registrato più omicidi rispetto a qualsiasi altro anno nella storia moderna del Paese con 25.339 vittime. Secondo un recente articolo di Avvenire, che riprendeva dati di ONG messicane, nei primi sei mesi di quest’anno sarebbero state uccise 15.973 persone, il 28% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Secondo il governo uscente è difficile stabilire le cause delle morti e quindi imputarle alle narco-mafie, sicuramente si tratta di cifre da conflitto armato interno.
Il neo eletto Presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador, detto AMLO, ha annunciato che cercherà di rivedere strutturalmente le decisioni su leggi e politiche nazionali in materia di droga, iniziando dalla depenalizzazione dell’uso e possesso della cannabis per arrivare a una serie di ambiziose proposte per il segmento ministeriale che le Nazioni Unite terranno a metà marzo del 2019 per discutere di lotta al narco-traffico. La giurista Olga Sanchez Cordero, giù giudice costituzionale nota anche per le sue posizioni liberali sull’aborto, che dall’autunno dovrebbe essere Ministro dell’Interno, ha annunciato che il dibattito sugli “stupefacenti” dev’esser portato davanti a forum internazionali, “Vogliamo proporre alle Nazioni Unite delle linee guida interpretative per promuovere la depenalizzazione delle droghe nel nostro paese”, ha affermato riferendosi alla marijuana e l’uso medicinale dei papaveri da oppio.
La proposta della Sánchez Cordero ripropone una visione trans-nazionale del problema ricordando che il traffico di droga, e i crimini a esso collegati, facciano parte di un più ampio fenomeno regionale. “Abbiamo trattati internazionali dal 1970 che sono estremamente rigidi nella lotta contro la drogaha detto a el País “Credo che sia giunto il momento di avviare almeno una reinterpretazione di questi test. Sono trattati punitivi estremamente rigidi“. Nel dibattito in campagna elettorale AMLO aveva denunciato che il Messico riesce a confiscare solo tra il 3 e l’8% delle droghe che attraversano il paese dirette a nord. Sempre secondo Obrador, ogni anno i cartelli della droga in Messico riciclano più di 25.000 milioni di dollari. Sulle rotte del traffico la criminalità organizzata lascia scie di vittime che non fanno distinzioni tra nazionalità. In Messico c’è chi, come l’ex Presidente Enrique Peña Nieto, da tempo pensa che sia il caso di convocare una conferenza internazionale per prendere in carico la depenalizzazione e la lotta al crimine organizzato.
Ed è infatti proprio grazie a Messico, Colombia e Guatemala che le Nazioni unite hanno anticipato di tre anni la sessione speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU sulle droghe, il cui documento finale, adottato a metà aprile del 2016, se non parla apertamente di depenalizzazione afferma che le politiche di controllo delle droghe devono tener di conto dei diritti umani. Incarcerare le persone o fumigare vallate sicuramente non va in quella direzione. Le prime dichiarazioni del nuovo governo messicano sembrano quindi proseguire nella direzione giusta, resta da vedere se Obrador riuscirà a creare un fronte comune con altri paesi latino-americani e il Canada, che ha recentemente legalizzato la cannabis, per il salto di qualità riformatore necessario.
Nel tentativo di rivedere la lotta regionale contro il traffico di droga, la ex giudice Sánchez Cordero ha fatto riferimento anche una proposta, molto controversa, di legge di amnistia. Il neo-Presidente Lopez Obrador non ha mai chiarito quali dovrebbero essere i meccanismi e i criteri con cui alcuni reati legati alla droga potrebbero essere perdonati per legge, la ex giudice costituzionale ha iniziato ad avenzare alcuni esempi riferendosi all’arresto di minori in possesso di alcuni grammi di marijuana o che fungono da muli, cioè corrieri che attraversano il confine con gli Stati Uniti a volte senza sapere qual è il carico che portano. Secondo la stampa messicana, Olga Sánchez Cordero è da anni apertamente a favore della depenalizzazione della cannabis, tanto è vero che nel 2016, quando era alla Corte Suprema di Giustizia, aveva votato a favore del governo quando questo aveva deciso di autorizzare il trasporto, la coltivazione e il consumo di marijuana senza scopo di lucro a un gruppo di ricorrenti. “Non stiamo affrontando un problema criminale, ma un modello di vita e di libertà della persona” aveva affermato in quell’occasione.
Tra le parole d’ordine della campagna elettorale di AMLO c’erano slogan che accennavano alla sua opposizione riformatrici relativamente alla guerra alla droga: “Abrazos no balazos” (abbracci, non spari), “Becarios sí, sicarios no” (studiosi sì, assassini no) e “No puedes apagar el fuego con el fuego” (non puoi combattere il fuoco con il fuoco). In una visita del 7 agosto scorso a Ciudad Juárez, per anni una della città più pericolosa al mondo, Lopez Obrador ha dichiarato “Non possiamo risolvere questi problemi di violenza con un pugno di ferro e con più arresti. Non ho mai creduto nell’occhio per occhio dente per dente, non possiamo combattere il male con altro male.” E’ chiaro che in alcune zone del Messico viga un terrore terrore diffuso e che i cambiamenti non saranno facili; per questi motivi, prima della sua inaugurazione fissata il 1° dicembre prossimo, AMLO e i suoi futuri membri di governo gireranno per il paese per ascoltare le preoccupazioni e le idee dei cittadini sul futuro della droga e della sicurezza. Indipendentemente da ciò la decisione di porre fine alla militarizzazine del controllo della droga è stata presa.
Ecco il piano riassunto in quattro punti:
  • Sostituire l’esercito dalle strade con una polizia più addestrata, meglio pagata e più professionale;
  • Riformare le leggi per regolamentare la marijuana e, possibilmente, il papavero (che è usato per produrre eroina) per non punire chi ne fa uso personale;
  • Offrire sostegno e anche aiuto economico alle vittime della guerra alla droga;
  • Investire in programmi sociali, istruzione e politiche del lavoro nelle regioni violente e povere.
Secondo Francisco Alfonso Durazo Montaño, il deputato prescelto per occupare il ministero di Sicurezza Pubblica “la transizione del Messico da una guerra della droga militarizzata inizia con una polizia migliore”. Secondo le analisi del governo entrante, il Messico ha meno della metà degli agenti di polizia di cui ha bisogno e solo il 42% soddisfa gli standard di “competenza di base” mentre solo il 10% è stato addestrato nelle indagini penali. Lo stipendio medio degli agenti è a malapena di $500 al mese. La presenza dell’esercito in funzione di ordine pubblico ha creato meccanismi perversi generando indifferenza tra i capi della polizia e tra i governatori degli stati perché, se il loro operato forsse risultato fallimentare, avrebbero comunque potuto chiamare l’esercito per affidargli il controllo del territorio e, quindi, ritardare il miglioramento delle forze di polizia.
In aggiunta a questi intrecci tra esercito e polizia, c’è da dire che l’amministrazione della giustizia messicana è tutta da riformare. Infatti, solo il 4% dei reati denunciati si traduce in punizioni ufficiali a causa di una cronica mancanza di polizia giudiziaria, pubblici ministeri e giudici. Questa inefficacia del sistema scoraggia i messicani che subiscono reati a denunciarli; all’impunità generalizzata si aggiunge quindi il dato che il 94% dei crimini in Messico non viene neanche denunciato.
Le politiche in materia di drogha delle Americhe hanno sembre dovuto fare i conti con la Casa Bianca; ma da quando per via popolare negli USA si è arrivate al controllo legale della cannabis in otto stati e a concedere quella terapeutica in 30, Washington si trova con le armi spuntate ogni qual volta deve imporre ai vicini politiche più rigide, in particolare per penalizzare l’uso personale delle sostanze proibite. E infatti i consulenti del governo entrante guardano alla legislazione della California e forse ancor di più a quella del Massachusetts perché modelli che prevedono anche “programmi di equità sociale” nel quadro della legalizzazione della marijuana. Secondo Zara Snapp, già coordinatrice della Global Commission on Drug Policy, “non ci potrà esser giustizia o riconciliazione in Messico senza la legalizzazione” ricordando come i benefici di una riforma radicale delle leggi sulle droghe andrebbero oltre oltre i pur importanti aspetti penali, “un mercato della droga regolamentato offre una grande opportunità per sollevare il sipario su tutta la corruzione che conosciamo già esiste nei confronti della droga, promuovendo la trasparenza“. Per non parlare dell’economia.
Se son rose fioriranno, anche perché la primavera in Messico inizia, per l’appunto, a dicembre.