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L’ombra di Stefano Cucchi continua ad agitare i sonni del sottosegretario Giovanardi. L’ineffabile zar antidroga insiste a diffondere dichiarazioni insultanti per la memoria del giovane che sarebbe morto perché drogato e non per i pestaggi e il successivo abbandono da parte dei medici. Non può essere solo cinismo. Giovanardi si rende conto che il corpo martoriato di Cucchi è la rappresentazione crudele degli effetti della war on drugs all’italiana. Nonostante un abisso morale ci divida da chi tratta i consumatori di sostanze come esseri privi di diritti, insistiamo nella ricerca del confronto per far uscire dal carcere migliaia di detenuti tossicodipendenti e perseguire la via sociale e non palazzinara alla soluzione del sovraffollamento delle carceri. Per questo, tra qualche giorno parteciperemo con varie associazioni, a un incontro con il capo del Dipartimento antidroga, Giovanni Serpelloni. Questi in un’intervista all’Avvenire del 6 aprile ha messo le sue carte in tavola. Con funambolici giochi di prestigio, ha dimezzato il numero dei tossicodipendenti in carcere, sostenendo che vi sono tossicodipendenti veri e falsi e che quelli con il bollino degli standard clinici internazionali sarebbero solo 7mila. I dati ufficiali sono ben altri: i tossicodipendenti sarebbero oltre 15mila. Il doppio rispetto ai numeri di Serpelloni, che con le sue minimizzazioni vorrebbe dimostrare che la Fini-Giovanardi non ha prodotto una criminalizzazione dei consumatori.
Ma Cucchi allora perché è stato arrestato? Il 38% dei detenuti è dentro per avere violato un’unica norma: l’articolo 73 della legge sulle droghe. Su quel 38% bisognerebbe lavorare per risolvere seriamente il tema del sovraffollamento. Noi saremmo per mettere mano al complessivo impianto ideologico proibizionista, ma sappiamo chi sono i nostri interlocutori. Percò proponiamo un’agenda pragmatica di deflazione carceraria: abrogare le norme della legge Cirielli sulla recidiva che penalizzano i tossicodipendenti non consentendo loro di accedere ai benefici e all’affidamento terapeutico; limitare la custodia cautelare promuovendo il ricorso ai domiciliari; evitare per i piccoli spacciatori-consumatori le pene da 6 a 20 anni; eliminare il limite a due sole concessioni dell’affidamento terapeutico. Solo a seguire si potrà chiedere alle Regioni un impegno straordinario per l’affidamento in comunità o per trattamenti non residenziali nel territorio.
Questo è il terreno discriminante per affrontare il macigno del sovraffollamento carcerario. Il dibattito parlamentare sulle misure di decongestionamento delle carceri è partito male. La proposta di legge Alfano, pur avendo in sé la consapevolezza di affrontare il problema, pone tali e tanti limiti da renderla quasi evanescente. Si pensi all’obbligo della riparazione a favore delle vittime. Cosa dovrà riparare un consumatore di droghe o un immigrato accusato di irregolare permanenza in Italia? Fare il badante a Borghezio? Ben venga una discussione ponderata che faccia uscire allo scoperto partiti e posizioni. Tutti sappiano però che per superare l’emergenza carceraria bisognerebbe modificare tre leggi: la Cirielli sulla recidiva, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle droghe. Tutto il resto non è risolutivo. Noi temiamo che il fallimento annunciato della proposta Alfano faciliti il disegno della speculazione edilizia penitenziaria senza controllo e degli affari sulla pelle dei detenuti.