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Immaginatevi un Charles Bronson poliziotto, che gira di notte per una qualche metropoli americana dentro la sua macchina. Le strade sono buie, il solito idrante rotto che spara acqua per ogni dove, qualche spacciatore all’angolo tra la 76esima e la Cross Hill Avenue. "Ripulirò queste dannate strade da tutta questa spazzatura", mormora il buon Charles. E via a rincorrere un ladruncolo portoricano, un pusher nero, un mafiosetto irlandese o italiano.

Con l’ossessione della dannata "spazzatura". Che, nella sua valenza metaforica, è un topos di certa filmografia (a sua volta, sovente, definita proprio così: trash, cioè spazzatura), e sta a indicare la feccia, tutta quella marmaglia di cui liberarsi senza troppi complimenti, gente di malaffare da lasciar ammuffire nella più buia delle galere.

In scenari meno esotici, la "spazzatura", grazie ai fatti di Napoli, è diventata anche un’icona dell’aria (o del fetore) dei tempi nel nostro paese: una sgradevole installazione (prossima a divenire permanente) che racconta una pluralità di cose che tralasciamo volentieri di elencare. Più in generale, a legare queste e altre derive semantiche di quella parola lì, c’è sempre un’istanza di rimozione: va rimossa la "monnezza" dalle strade con tanta determinazione quanta ne metteva Bronson nel ripulire i quartieri del suo distretto dalla criminalità. Insomma, se c’è spazzatura c’è (o si vorrebbe ci fosse) almeno un camion disposto a portarla in discarica, un treno con destinazione Germania o un giustiziere della notte disposto a perseguirla, fosse anche in capo al mondo.

Mutuando molti dei significati qui esposti, di recente un membro dell’attuale governo ha detto che "la droga è spazzatura e come spazzatura deve essere rimossa dalla società". A voler giocare con la fantasia si potrebbero immaginare queste parole in bocca a Gianfranco Fini: una sparata asciutta asciutta delle sue, che su certe questioni è rimasto rigido e inesorabile. Oppure, perché no, a pronunciarle potrebbe essere qualcuno dei suoi. O, ancora, non sfigurerebbero nel vocabolario di certi leghisti o tra i pensieri di taluni teodem.

E invece no: in virtù di quello stesso teorema per cui a far casino più di tutti, nelle feste dei tempi del liceo, era sempre qualcuno dell’Azione Cattolica, a pronunciarle è stato il sottosegretario Carlo Giovanardi, improvvisatosi Bronson o Bertolaso. Insomma, voce grossa e fuori gli attributi: la droga è spazzatura, dunque va rimossa. Invero Giovanardi non è nuovo a mostrarsi come un vero duro, se sollecitato da qualche imperativo categorico: qualcuno ricorderà le sue esternazioni, ad esempio, sulla normativa olandese in materia di eutanasia, quando ebbe e dire che "la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo" (ne nacque un caso diplomatico con i Paesi Bassi, ma poco male).

E poi ha dato battaglia per la chiusura anticipata dei locali notturni, ha spiegato che gli omosessuali possono stare nell’esercito, purché non facciano troppo le checche; di recente ha minacciato di introdurre una legge che vieti in maniera assoluta qualsiasi manifestazione antiproibizionista. Il tutto sempre con quel piglio da moralizzatore senza morale e senza paura. Ora, non che le droghe siano un pallino dell’ultima ora: in fin dei conti se la legislazione italiana ha accolto l’equiparazione tra droghe pesanti e droghe leggere è soprattutto merito dell’ex esponente dell’Udc.

Però questa volta l’esponente del Pdl si è mostrato più tosto del solito. Altre sue esternazioni, pur sparate grosse, avevano la forma della protesta e dell’indignazione, avevano qualcosa di veracemente scomposto (quando ognuno di noi ben sa che i veri duri sono spietati con flemma); questa volta no, questa volta Giovanardi è secco, conciso e implacabile. Che mo, verrebbe proprio da pensare, per la droga sono cavoli amari. Ma, attenzione, in questo caso quel signore, i contenuti delle sue prese di posizione e anche i toni, gli accenti e i modi utilizzati rappresentano la linea del nostro governo.

E, allora, sorgono alcune domande. Come facciamo a sbarazzarci della droga? Ovvero, esiste qualcuno dotato di buon senso che crede che quella sostanza possa essere eliminata dalla circolazione, cancellata, bandita per sempre dagli usi e dai costumi di milioni di consumatori? O forse quella parolina che a "spazzatura" si associa tanto bene – e che già abbiamo richiamato: "rimozione" – qui assume goffamente un significato psicanalitico?

Gli esponenti della maggioranza, Giovanardi in testa, intendono affrontare un problema sociale o trovare una qualche strada per nasconderlo, minimizzarlo e non doverlo più "vedere"? E poi: non si corre il rischio che a identificare quelle sostanze – che bene certo non fanno – con la "monnezza" si finisca presto o tardi, per confusione o per calcolo, col considerare come un rifiuto anche chi da quelle sostanze dipende?

Perché in effetti, a ripensarci bene, la normativa Giovanardi sul consumo di stupefacenti sbatte dentro i tossici e i consumatori occasionali un po’ come Bronson sbatteva dentro la spazzatura umana che infestava le strade delle sue città. Insomma, noi siamo per la riduzione del danno e per una politica che depenalizzi il consumo di stupefacenti. E siamo per chiamare le cose col loro nome: convinti che gli infiniti termini usati sin qui per identificare le droghe ("spazzatura" è solo l’ultimo) abbiano solo prodotto guasti.

Il sottosegretario con delega alla Famiglia, alla Droga e al Servizio civile non deve pensarla così. Non ci attendiamo nulla di buono. Intanto ha presentato la Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze. Aumentano i morti per overdose, aumenta il consumo di cocaina (sempre più a buon mercato, come pure l’eroina) e ancor più quello di cannabis, cresce la reperibilità degli stupefacenti, anche a scuola; e aumentano i soggetti segnalati alle prefetture per possesso e quelli denunciati per reati previsti dalla legge 309 (la sua): 35.238 nel 2007.

E lui dichiara che non bisogna esagerare con gli allarmi: "si corre il rischio di legittimare l’idea che siccome le droghe sono così tanto diffuse, combatterle è una battaglia persa e tanto vale liberalizzarle". Vallo a capire. In un frangente simile Bronson avrebbe usato parole e maniere più coerenti e conseguenti. (E, in conclusione, come dimenticare – dettaglio sublime – che un equivalente nostrano di Bronson, quel Tomas Milian romanizzato e intrucidito, era soprannominato Monnezza?).