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Le politiche nazionali sulle droghe, per quanto specifiche, fanno riferimento a un quadro generale politico e culturale più ampio che è comune, per molti aspetti, agli altri ambiti della sanità territoriale.

Le politiche italiane sulle droghe sono centrate sul modello penale, per cui, per effetto di un articolo della legge che equipara detenzione e spaccio, un terzo dei detenuti nelle carceri italiane è costituito da °tossicodipendenti °. Le Persone che Usano Droghe (PUD), come è più rispettoso chiamarle, anche quando non sono internate in carcere, sono fortemente stigmatizzate e soggette a gravi pregiudizi. La stessa realtà dei servizi socio-sanitari, ferma agli anni ‘ 90, è oggi largamente insufficiente e richiede una innovazione sostanziale in particolare seguendo la prospettiva della Riduzione del Danno. Nonostante la Riduzione del Danno (RdD) sia un LEA fin dal 2017, non è attuata nella gran parte del paese e laddove è operante è fortemente precaria. Questa situazione, che vede l’attuale governo sostanzialmente impegnato contro la RdD, nonostante sia un LEA, ostacola le innovazioni nei servizi e tende a far prevalere culture professionali legate a modelli obsoleti e colpevolizzanti.

La tendenza dei servizi pubblici prevalente è, di conseguenza, tesa a patologizzare le problematiche delle persone con problemi legati all’uso di droghe, equiparando ogni problematica a una malattia cronica e inguaribile … creando rischi di nuove forme di istituzionalizzazione e nuove stigmatizzazioni. D’altro canto, chi sfugge alla detenzione o alla patologizzazione può andare incontro a gravi sanzioni amministrative o altre complicazioni di legge (cfr. il decreto anti- rave, e il recente stravolgimento del codice della strada).

Molte esperienze innovative realizzate nelle realtà di servizi pubblici di diverse città italiane (es. Napoli, Torino, Bologna) che hanno attuato servizi e attività di Riduzione del Danno integrati nel sistema pubblico hanno operato nella prospettiva universalistica del modello territoriale intesa come Tutela e Promozione della Salute delle PUD centrata sul diritto alla salute al pari degli altri servizi territoriali.

Il cambio strutturale delle politiche sulle droghe, in prospettiva, prevede da una parte, la legalizzazione e la depenalizzazione e il riconoscimento dei diritti civili e dall’altra il riconoscimento del diritto alla salute e del diritto alle cure a partire dalla tutela e promozione della salute delle persone che usano droghe. Ma ciononostante è possibile, anche nel contesto istituzionale attuale, introdurre innovazioni sostanziali tese a spostare le funzioni dei servizi verso la Tutela e Promozione della Salute delle PUD secondo la prospettiva trasversale della Riduzione del Danno. Una tematica analoga alla Tutela della Salute Mentale, della Salute delle Donne, del Bambino, dei Lavoratori, dei Disabili, degli Anziani. Mi riferisco cioè a quella concezione del sistema affermata dalla Legge 833/78 di riforma del sistema sanitario centrata sul modello territoriale.

Credo, quindi che, quando diciamo che il sistema sanitario italiano debba essere difeso e rilanciato dobbiamo pretendere che si riaffermi la centralità del territorio nell’ambito della riorganizzazione del sistema coerentemente con i principi della prima riforma sanitaria citata e ancora in vigore.

Quando critichiamo giustamente la contrazione della spesa sanitaria e la tendenza pervasiva alla privatizzazione, ad esempio, non possiamo limitarci a dire che bisogna difendere l’ospedale pubblico, garantire i presidi emergenza, ridurre le liste d’attesa smisurate etc.  Tutte questioni importanti ed anche urgenti ma che, da sole, rischiano di rappresentare posizioni riduttive se non le collochiamo in una prospettiva più generale di ridefinizione del quadro delle politiche sanitarie.

Il sistema sanitario attuale è l’espressione della progressiva azione di disattivazione operata nel corso degli anni dei principi fondanti la legge di riforma sanitaria, la 833/78, che appunto spostava il sistema sanitario sul territorio. La tendenza alla privatizzazione e le diseguaglianze stanno tutte dentro quelle leggi (dal DL 502/92 alla riforma del titolo V della Costituzione) e nelle varie finanziarie che hanno sempre più indebolito la dimensione pubblica e unitaria del sistema sanitario nazionale, sacrificando ancor di più il Mezzogiorno.

Credo che dobbiamo chiedere e pretendere, per questi motivi, contro la privatizzazione, la riduzione della spesa sanitaria etc. una inversione di tendenza e cioè più diritto alla salute, più territorio e socio-sanitario.

La scarsa diffusione dei sistemi territoriali sanitari e socio-sanitari orientati alla tutela della salute, intesa come ° il benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia ° (Dichiarazione di Alma Ata) e solo in secondo luogo, ma con uguale rigore, alla prevenzione e intercettazione precoce delle patologie, fino alle cure primarie, domiciliari e al ricovero, ha determinato una diffusione pervasiva del sistema ospedaliero e ambulatoriale, che ha occupato in modo improprio il territorio, distorcendo la stessa mission e la funzionalità del servizio ospedaliero.

Ad esempio, ritengo, che verso l’epidemia di Covid un sistema territoriale diffuso di servizi e una epidemiologia di comunità avrebbe potuto mettere in atto in modo precoce le diverse strategie di intervento attivate tardivamente e governare in modo sostanzialmente più efficace l’evento epidemiologico. Analogo discorso per le patologie ambientali.

Vorrei anche porre una questione importante. La giusta lotta alla privatizzazione non può però confondere il privato profit che lucra sulla salute con il privato sociale no profit, quello delle cooperative sociali e del terzo settore in generale, che ha contribuito in molte aree e realtà del nostro paese ad ampliare il sistema pubblico territoriale e socio-sanitario, attraverso una integrazione “cooperativa” che non ha sostituito le funzioni pubbliche, ma le ha ampliate in una prospettiva di pubblico-sociale. Una logica tesa e a istituire modelli di servizi territoriali in grado di garantire il diritto alla salute in modo compiuto (le realtà più avanzate della Salute mentale, delle Dipendenze in primis etc.). Ritengo, per questi motivi, che la parola privato sociale dovrebbe essere usata sempre meno, per l’ambiguità che contiene, a favore del termine Terzo Settore e Cooperazione Sociale.

In conclusione, sottolineo che le recenti grandi e importanti manifestazioni  indette dalla CGIl con la partecipazione di un ampio numero di associazioni della società civile, hanno posto con forza, l’esigenza non più rinviabile di attivare tutte le necessarie azioni politiche per garantire il diritto costituzionale alla salute, sempre più calpestato.

Tale rivendicazione penso che debba contenere e rilanciare alla luce delle nuove esigenze del tempo presente, i temi storici dei movimenti italiani per la salute (posti dal movimento che dalla deistituzionalizzazione dei manicomi ha rivendicato la Salute Mentale, dalla critica radicale alla medicalizzazione del corpo delle donne posta dai movimenti femministi verso la Tutela della Salute delle Donne, dalla rivendicazione di Tutela della Salute dei lavoratori in un ambiente di lavoro appunto salutare, alla Tutela della Salute delle Persone che Usano Droghe in alternativa alla patologizzazione dei comportamenti  etc.) della centralità della Tutela della Salute dei cittadini e degli abitanti attraverso il potenziamento del territorio e del socio-sanitario, delle cure primarie e di prossimità, e la restituzione all’ospedale e all’emergenza della sua funzione ordinaria  ed equilibrata all’interno del sistema sanitario complessivo così riposizionato.