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“Dà: perdita della memoria, perdita dei riflessi, poca voglia di lavorare e vengon dei buchi così… nella pelle, da tutte le parti: un mio amico li ha avuti”. L’esilarante testo di “Talkin’ sul sesso” di Francesco Guccini, del lontano 1972, vien subito in mente leggendo l’autorevole ‘statement’ su ‘cannabis e suoi derivati’, diffuso qualche giorno fa dal Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri. Sembra cambiato solo l’oggetto della paranoia: dalla sessuofobia dei politici-pedagoghi dell’Italia di allora, alla droga fobia attuale.

Una ventina di esperti di materie mediche diverse, guidati da Giovanni Sterpelloni, dicono che circola informazione imprecisa e fuorviante su marijuana e hashish che abbasserebbe la percezione del rischio associato al consumo di queste sostanze nelle giovani generazioni. Quindi rilasciano un documento che dire terroristico è quasi un eufemismo.

La cannabis causa le peggio cose: non le elenco perché facili da immaginare se si pensa agli argomenti di Gasparri, La Russa, Giovanardi, eccetera. Che certe esagerazioni le dicano i politici in cerca di consenso facile, ci sta. Che le sottoscrivano degli scienziati che difficilmente riuscirebbero a pubblicarle sulle riviste scientifiche dove ambiscono a comparire, è, quantomeno, triste. Non mi risulta che “Lancet” (la più autorevole rivista medica al mondo, con “MEMJ”), abbia ritrattato l’editoriale del 2001 che iniziava con queste parole: “Fumare cannabis, anche a lungo, non è dannoso per la salute”. Anzi. I tre articoli pubblicati sul fascicolo del 7 gennaio 2012 rinforzano le critiche alla miope, ipocrita e dannosa politica proibizionista sulla cannabis. Fumare cannabis può fare male. Non c’è dubbio. Immettere fumo nei polmoni intossica e aumenta il rischio del cancro in generale (se è fumo di tabacco non di meno che se è di marijuana). E può far danni interferire con la maturazione adolescenziale del sistema dei recettori cannabinoidi. Ma vogliamo mettere i danni che causa l’abuso di alcool? Nessuno chiede di rendere illegale l’alcool. Solo di smetterla con un’insensata, costosa e dannosa campagna che non ha una giustificazione medico-scientifica, ma solo etico-ideologica. E questa giustificazione potrebbe persino bastare se il proibizionismo fosse (e fosse mai stato una volta nella storia) sanitariamente ed economicamente vantaggioso. Ma non lo è e non lo potrà mai essere. Lo dicono con dati sperimentali decisivi, le scienze del comportamento umano.

Chi scrive statment terroristici sulle droghe è pagato per fare un lavoro inutile. Il moralismo forse lava le coscienze di chi è insofferente verso un’etica della responsabilità e della scelta individuali. O dimostra che si può sapere come funzionano le molecole, diagnosticare un disturbo clinico o analizzare un dato statistico, ma ignorare i processi psicologici e sociali che sono implicati nei comportamenti d’abuso. E manco aver letto una riga dell’oceanica bibliografia che spiega in che modo le informazioni scientifiche e sanitarie (possibilmente affidabili e non brandite ideologicamente) vanno date, e da chi: se si vuole che producano qualche effetto. Soprattutto sui soggetti a rischio. In particolare se si tratta di adolescenti. Che hanno un cervello a parte. Alcuni pubblicitari che fanno le campagne sanitarie l’hanno capito. Gli esperti italiani di droghe, pare di no.