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Ricordo le difficoltà per aprire il nuovo carcere a Perugia, i lavori interrotti per conflitti con l’impresa costruttrice e un mio sopralluogo come sottosegretario alla giustizia con delega al Dap per individuare soluzioni che garantissero la vivibilità e il rispetto delle norme definite nel Regolamento. Il mio timore allora era che il nuovo Istituto fosse «freddo» rispetto alla vecchia struttura nel centro della città.

La morte di Aldo Branzino mi ha colpito in modo particolare perché mette in luce il fatto che le carceri non possono essere dei contenitori di corpi con muri che nascondono alla società la sofferenza. Il carcere richiede un progetto che rispetti il dettato costituzionale rifiutando la logica autoreferenziale del corpo separato.
Il carcere non può essere una zona franca con regole proprie e con omertà intollerabili.

Noi ancora non sappiamo che cosa è successo a una persona mite, arrestata per un reato senza vittima, per la coltivazione di piante di marijuana. O meglio non sappiamo perché l’arresto in carcere che solo una legge criminogena e proibizionista può prevedere, da dramma è divenuto tragedia. Ma sappiamo che come accade molto spesso, troppo spesso, si è tentato di archiviare il caso come morte naturale o accidentale.

Quanto è accaduto a Perugia deve costituire un monito per gli apprendisti stregoni che chiedono più carcere in nome della sicurezza. Il carcere non può ridursi a discarica sociale dove confinare immigrati, tossicodipendenti, disturbatori della quiete pubblica e soggetti refrattari alle regole della buona società. Soprattutto il carcere deve essere un luogo in cui vengono garantiti i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, in primo luogo il diritto alla salute. E ancora prima i diritti umani e innanzitutto il diritto alla vita.

Ricordo nella mia esperienza di governo due casi che mi turbarono e mi impegnarono per fare luce e non coprire responsabilità. La morte di Marco Ciuffreda e il massacro avvenuto nel carcere di Sassari. La vicenda kafkiana di Ciuffreda la ricostruii anche grazie alla sollecitazione puntigliosa dell’allora senatore Manconi. Sono sicuro, e il sottosegretario già ha pubblicamente confermato la determinazione a non consentire coperture o minimizzazioni, che l’indagine amministrativa dell’ispettorato del Dap farà emergere la verità e diraderà le ombre contestualmente all’inchiesta giudiziaria.

Questo evento luttuoso deve spingere a richiedere il massimo di trasparenza in tutte le istituzioni totali che per loro natura sono un luogo di potere e talora di violenza.

È quindi grave che l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti sia bloccata da sei mesi al Senato e altrettanto grave che in Umbria dopo un anno dall’approvazione della legge istitutiva del Garante regionale il Consiglio non sia riuscito ancora a designare la persona destinata a ricoprire tale ruolo per ostruzionismi e boicottaggi assolutamente incomprensibili.

È ovvio che la presenza del garante non avrebbe con sicurezza salvato la vita a Aldo Branzino, ma certamente avrebbe svelato la realtà dei rapporti di potere all’interno del carcere, avrebbe fatto conoscere il clima esistente e avrebbe attivato i controlli propri di una autorità indipendente.

È troppo chiedere che prima di varare il pacchetto sicurezza che produrrà una pericolosa spirale di tolleranza zero, si approvi la legge contro la tortura e l’istituzione del Garante dei più deboli, dei senza voce?