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Sta per scadere la lunga reggenza di Antonio Costa quale direttore dello Unodc, l’agenzia Onu sulle droghe e il crimine, e fra poche settimane Ban Ki Moon eleggerà il suo successore. Il giudizio sull’era Costa si può riassumere in poche parole: non è stato in grado di imprimere al suo ufficio la svolta necessaria, verso un approccio più equilibrato (“bilanciato”, si dice in Europa) alla questione droghe. La lingua della politica globale delle droghe ha continuato a battere sul dente dolente della proibizione e della repressione mentre la tutela della salute pubblica è rimasta per larga parte un’invocazione fine a se stessa. Eppure, questo riequilibrio strategico è sempre più al centro di un conflitto politico. Il vecchio unanimismo intorno alla retorica del “mondo senza droga” è ormai alle spalle: come ha ampiamente dimostrato l’esito dell’assise di Vienna 2009, quando un gruppo nutrito di stati membri, con la maggioranza dei paesi europei in testa, prese le distanze dalla dichiarazione politica finale con un documento a favore della riduzione del danno. Il pressing per un cambio di passo ritorna in questi giorni, con un’iniziativa dal basso di alcune associazioni, guidate dalla Associazione Internazionale sull’Aids: una raccolta di firme sulla “dichiarazione di Vienna”. Alcuni passaggi salienti della Vienna Declaration: la guerra alla droga e la criminalizzazione dei consumatori di droghe alimentano l’epidemia di Hiv con enormi conseguenze negative sanitarie e sociali; imprimere un nuovo indirizzo alle politiche delle droghe verso un approccio scientifico e rispettoso dei diritti umani può ridurre i danni delle attuali politiche e convogliare le risorse verso interventi di prevenzione, trattamento e riduzione del danno fondati sulle evidenze scientifiche.
Torniamo alla nomina del capo dell’agenzia Onu sulle droghe. Il nuovo direttore dovrà essere un capace navigatore nel mare agitato delle crescenti tensioni internazionali ma in compenso la rotta del cambiamento è segnata. Tanto che si potrebbe facilmente scrivere un programma di mandato (e magari sperare che il nuovo capo ne dia lettura nel giorno dell’insediamento). Al primo punto è la riconversione del ruolo dello Unodc. Finora lo Unodc si è posto quale difensore dell’ortodossia della proibizione, soffocando ogni dibattito in merito alla sua efficacia. Ma il sistema di controllo e i modelli di legislazione delle droghe, ad iniziare dalle convenzioni internazionali, risalgono ormai alla metà del secolo scorso. Da “cane da guardia” dello status quo, lo Unodc dovrebbe passare a guida dell’ormai irrinunciabile confronto sull’innovazione.
Al secondo posto è il versante dei diritti umani. In nome del controllo sulla droga si sono compiute, e continuano a compiersi, molte violazioni dei diritti umani. Si va dalla mancata fornitura di servizi sanitari essenziali, alla discriminazione etnica e di razza, alle punizioni sproporzionate ai reati fino alla pena di morte (applicata in Cina e Iran e non solo); ai trattamenti inumani e degradanti mascherati da “cura della dipendenza”, allo sfollamento forzato di intere popolazioni per le fumigazioni coi pesticidi, alle uccisioni extragiudiziarie. Sinora la mano Onu della guerra alla droga ha ignorato l’altra mano, quella della Carta Onu sui diritti umani. E’ una schizofrenia che deve finire.
Terzo, lo Unodc deve prendere una posizione non equivoca sulla prevenzione dell’epidemia Hiv, promuovendo in tutto il mondo l’accesso allo scambio siringhe e ai trattamenti sostitutivi, programmi che vanno sotto il nome di riduzione del danno. Questi interventi hanno da tempo l’adesione di altre agenzie Onu, ad iniziare dallo Unaids, il Fondo mondiale, la Oms. Di nuovo, si tratta di adeguare le droghe allo “spirito” generale che informa le Nazioni Unite.
Poco si sa sui nomi che circolano al Palazzo di Vetro, se non che la Russia ha avanzato una candidatura ufficiale. Nel “pugno duro”, la Russia è più realista del re americano. Sostiene che i diritti umani non devono intralciare la war on drugs. Si oppone con determinazione alla prevenzione Hiv. Insomma, è un candidato destinato ad allargare le divisioni dentro la stessa Onu. Ban ki Moon dovrebbe pensarci bene.