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Demagogico, inefficace, controproducente: il Codice di autoregolamentazione per i programmi radiotelevisivi che trattano il tema della droga, che il Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio ha inviato in questi giorni alle tv e agli organismi di controllo, non trova d’accordo alcune realta’ del mondo degli operatori delle dipendenze. Ma il “padre” dell’iniziativa la difende: “I cittadini hanno diritto a un’informazione scientifica corretta sulle droghe” dice il sottosegretario Carlo Giovanardi.
L’idea di un codice ha preso le mosse dalla vicenda Morgan, il cantante escluso quest’anno da Sanremo perche’ in un’intervista aveva raccontato di fare uso di cocaina in funzione antidepressiva. In particolare, Giovanardi aveva puntato il dito contro alcune trasmissioni tv (Annozero e Chiambretti Night) nate sull’onda delle polemiche su Morgan.
“Basta con una informazione fuorviante sul tema droga” era insorto il sottosegretario. Da qui la proposta di introdurre dei “paletti” nell’informazione radiotelevisiva.
Cosa prevede il Codice inviato a reti tv, Ordine dei giornalisti, Agcom, Commissione di vigilanza e altri organismi?
Innanzitutto che “si intensifichino i programmi sulle problematiche connesse all’uso di sostanze stupefacenti e all’abuso alcolico” e che l’uso anche occasionale di droga siano “trattati al pari delle altre problematiche sanitarie, rispetto alle quali va aggiunta l’aggravante sociale”. Poi, che le trasmissioni siano obbligate a “diffondere a intervalli regolari messaggi, sotto forma di microspot o battute nel testo dei dialoghi, contro l’uso di droga”. Un capitolo a se’ viene dedicato alla cannabis, prevedendo che si enfatizzino “i danni e i rischi derivanti dall’uso, anche occasionale” e il suo ruolo di “sostanza-ponte verso l’uso di altre droghe”. Ancora, il codice chiede che “chi ne ha la competenza intervenga affinche’ queste trasmissioni modifichino, affidandosi anche ai consigli di professionisti esperti del settore, i loro contenuti” o, “qualora cio’ non fosse possibile, non vengano trasmesse o ne venga sospesa l’autorizzazione”. Si chiede poi che “nei messaggi mediatici venga sempre presentato l’alto potenziale di nocivita'” derivante dall’uso di droghe, che nelle trasmissioni sia “sempre rispettata un’impostazione scientifica” e che “vengano sempre coinvolti professionisti esperti accreditati in ambito scientifico ed educativo” nonche’ “rappresentanti delle strutture e amministrazioni pubbliche competenti”.
Per le associazioni che contestano il Codice, con l’applicazione di queste regole si andra’ a peggiorare ulteriormente la qualita’ dell’informazione sul tema. In particolare, il presidente di Saman Achille Saletti critica “la pretesa di omologare i tipi di consumi e di sostanze”. “La credibilita’ del codice – aggiungono Leopoldo Grosso del Gruppo Abele e Riccardo De Facci, del Coordinamento nazionale comunita’ accoglienza – e’ viziata dal fatto che si cerca di affermare una visione valoriale per cui le droghe sono tutte uguali. Non e’ possibile sostenere in modo generico che ogni sostanza determina conseguenze irreparabili, e’ una forzatura politica che si scontra sia con la realta’ scientifica sia con l’esperienza di milioni di persone”. I contestatari propongono invece di coinvolgere gli operatori dell’informazione in un confronto con quelli delle dipendenze “per sensibilizzarli realmente sul tema” evitando un’informazione “distorta in un senso o nel’altro”.
Ma Giovanardi tiene il punto: “Se qualcuno dicesse in tv che l’obesità per i bambini è un fatto positivo, sicuramente tutti chiederebbero che un pediatra spiegasse che invece è dannosa per la salute. C’‚ il diritto ad avere un’informazione corretta. E sul tema droga c’‚ il diritto dei cittadini ad avere in tv la presenza di persone qualificate che possano dare un’informazione scientifica corretta”.