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Nella sessione inaugurale della VI Conferenza sulle droghe del novembre scorso, la ministra Gelmini e il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Fedriga l’avevano detto senza mezzi termini: siamo contrari a qualsiasi modifica del Testo Unico sulle droghe. Posto che non è ancora chiaro come e quando le raccomandazioni dell’incontro di Genova verranno condivise con il Parlamento – raccomandazioni che vanno in senso diametralmente opposto a quanto fatto in Italia negli ultimi decenni – la storica contrarietà a riforme di buon senso dei proibizionisti italiani ha trovato il modo di battere qualche colpo.

Ieri la Conferenza Stato Regioni ha adottato un Decreto interministeriale che definisce «l’elenco delle specie di piante officinali coltivate nonché criteri di raccolta e prima trasformazione delle specie di piante officinali spontanee». Al comma 4 del primo articolo del documento si rimanda sotto la cappa regolatoria della 309/90 «la coltivazione delle piante di Cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale»; prescindendo che vi siano o meno sostanze psicoattive al di sopra dei limiti fissati dalla legge sulla filiera agroindustriale della canapa del 2016. Meraviglia che il presidente della Commissione agricoltura della Camera Gallinella del M5S non se ne sia accorto ed esulti.

Questo passo indietro – la legge sulla canapa industriale fu adottata all’unanimità – rende coltivatori e rivenditori di infiorescenze di “cannabis light” passibili delle sanzioni derivanti dal Testo Unico sulle droghe che ne vieta la coltivazione senza un’autorizzazione del ministero della Salute.

Il ministro Speranza non prese parte alla Conferenza sulle droghe, Patuanelli era invece in prima fila ad applaudire la ministra Dadone, possibile che anche lui non si sia accorto di quanto accaduto con la firma di funzionari del suo ministero? Peraltro esiste un tavolo sulla canapa industriale dove le associazioni di produttori già a giugno scorso avevano espresso ferma contrarietà al testo adottato ieri.

A metà dicembre 2021 si è tenuta la prima riunione del tavolo tecnico tra ministero della Salute e associazioni di pazienti su iniziativa del sottosegretario Costa per ascoltare le esigenze di approvvigionamento quantitativo e qualitativo di cannabis. Perché intervenire con un provvedimento che, letteralmente, fa di tutta l’erba un fascio rischiando di mettere fuori gioco l’intera filiera delle infiorescenze di cannabis light e prodotti a base di Cbd?

L’Organizzazione mondiale della Sanità, rilevando le proprietà terapeutiche del Cbd, ne ha più volte raccomandato l’esclusione dalle tabelle delle sostanze vietate proprio perché privo di effetti psicoattivi. A dicembre del 2020 la Commissione droghe dell’Onu ha cancellato la cannabis dalla IV tabella della Convenzione 1961 col voto favorevole dell’Italia. Infilare in un Decreto Interministeriale questo ritorno della produzione della cannabis light nelle maglie della 309/90, oltre che andar contro la scienza e il buon senso, è giuridicamente molto discutibile.

Nel momento in cui occorre una regolamentazione che chiarisca cosa può esser coltivato e come decisioni come queste fanno fare enormi passi indietro. Prodotti con una determinata soglia di Cbd vanno trattati come farmaci, quelli con percentuali ancora minori come integratori, come già succede per molte altre sostanze anche in altri Stati dell’Ue. Per la Corte di Giustizia Europea, uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del Cbd legalmente prodotto in un altro Stato dell’Unione.

Si tratta di un settore con 3000 aziende che occupa oltre 10.000 persone prevalentemente giovani. Un comparto schiacciato tra incertezza normativa e attenzione morbosa a eradicare piante e sequestrare prodotti prima di verificarne la conformità con la legge causando decine di procedimenti.

I ministri competenti dovranno adesso modificare il Decreto per renderlo in linea con la normativa vigente. In caso contrario occorre una risposta coordinata tra consumatori, pazienti e imprenditori per mandare in soffitta definitivamente provvedimenti anti-scientifici e ideologici adottati di nascosto dal Parlamento.

[Fonte: il manifesto]