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Dopo la sentenza n. 30475/19 del 30.5.2019 delle sezioni unite della Cassazione sulla commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L (ovvero la cd cannabis light) il mondo dei produttori e dei commercianti di tali prodotti si sta interrogando sulle possibili applicazioni pratiche.

In un primo momento sono intervenute due distinte ordinanze dei tribunali del riesame di Genova del 24 giugno, di Salerno del 21 luglio e di Ancona del 24 luglio 2019 i quali hanno stabilito che possono essere lecitamente commercializzati tutti i prodotti con una percentuale di principio attivo inferiore allo 0,5% di thc in quanto non stupefacenti o psicotropi e che i sequestri al fine di condurre le analisi per il rilevamento del principio vanno effettuati a campione e non su tutte le confezioni di tali prodotti.

Queste pronunce avevano riaperto spiragli sulla commercializzazione dei derivati della canapa sativa L sempre che avessero un tenore di principio attivo inferiore allo 0,5%.

Una più rigida applicazione dei principi statuiti nella sentenza delle sezioni unite viene invece avanzata alla Procura di Parma che ha proceduto in questi giorni ad una massiva azione di perquisizioni e sequestri a tutta una serie di commercianti e produttori/commercianti di derivati della canapa.

La tesi della procura parmense è quella per cui la cessione, la vendita e in generale la commercializzazione al pubblico dei derivati della cannabis sativa L quali infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui al 73 DPR 309/90 anche a fronte di un contenuto di thc inferiore ai valori indicati all’art. 4 commi 5 e 7 della L. 242/2016 (ovvero allo 0, 6%) salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia dogante o psicotropa secondo il principio di offensività.

Si afferma quindi un divieto pressochè assoluto della commercializzazione di tali derivati e al sequestro di tutte le scorte di tali prodotti preso una serie di aziende che provvede alla loro commercializzazione.

La procura giunge addirittura a disporre il sequestro di tutta una serie di prodotti la cui commercializzazione è senza dubbio lecita quali accendini, cartine, macinini, gas butano, estrattori ritenendoli cose pertinenti al reato in quanto comprovanti una finalità ricreativa dei prodotti messi in vendita.

Un’attività di indagine condotta per mesi per scoprire che vi sono prodotti che invitano all’uso ricreativo? Appostamenti al fine di scoprire i magazzini di deposito dei produttori e dei commercianti ? La conferenza stampa della procura di Parma sfiora il ridicolo: una predisposizione di mezzi e misure spropositata per condurre sequestri a carico di aziende regolarmente registrate ed esercizi commerciali dotati delle licenze per la loro attività sfocia ad avviso di chi scrive in un uso propagandistico dello strumento penale.

La procura parmense porta alle estreme conseguenze l’interpretazione restrittiva data dalle sezioni unite sulla materia, una pronuncia quella del 30 maggio che in alcune parti si palesa quale illogica.

Si sostiene infatti che possono ottenere solo i prodotti tassativamente elencati dall’art 2 comma II della L. 242/16 quali  carburanti e/o fibre ma non hashish e marijuana, dimenticandosi volutamente che tra le destinazioni lecite della L. 242/2016 vi sia la produzione di alimenti e cosmetici ( secondo la normativa di settore ) e il florovivaismo che da Enciclopedia Treccani è “attività professionale di coltura e vendita di piante e fiori recisi a scopo ornamentale” , attività espressamente elencata dall’art 2 II c. della L. 242/2016.

Come autorevolmente sostenuto su questa Rivista ( articolo di R. De Vito del ) la sentenza delle sezioni unite della cassazione non ha definitivamente chiarito l’estensione dell’ambito dell’applicazione della L. 242/2016, se da un lato, e con una certa coloritura ideologica, si sostiene il divieto di commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L quali olio, infiorescenze e resina dall’altro rimanda al Giudice di merito l’accertamento dell’offensività della condotta e della presenza di effetto drogante.

Anche su questo punto sia le sezioni unite che la procura parmense sembrano propendere per una nozione restrittiva di effetto drogante giungendo a confondere il principio di offensività con l’assenza di qualsivoglia condotta penalmente rilevante: laddove la sostanza sia infatti priva di qualsivoglia effetto stupefacente dovrebbe parlarsi di non reato proprio in forza dell’invocata natura legale che hanno le sostanze stupefacenti per il nostro ordinamento in materia penale. L’inoffensività si avrà invece tutte quelle volte che la condotta pur astrattamente rientrante in condotta penalmente rilevante sia priva di una concreta offesa al bene giuridico ovvero nel caso di specie tutte quelle volte che non si produca un effetto stupefacente.

L’insegnamento della giurisprudenza di legittimità formatasi fino ad oggi che compendia la miglior dottrina scientifica è concorde nel non ritenere stupefacente ogni prodotto al di sotto dello 0,5% di thc.

Vedremo come si pronunceranno sul punto i giudici del tribunale del riesame parmense adito dagli indagati di quell’inchiesta e se daranno un’interpretazione in linea con tale orientamento o se invece si attesteranno sulle posizioni assunte dalla procura.

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