Colosseo, Mole Antonelliana, Maschio Angioino, San Marco, Torre di San Niccolò, Torre dell’Elefante: la geografia degli edifici storici d’Italia si veste “a festa” per il 26 giugno, Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico di droga indetta ogni anno dall’Onu. Lo slogan che campeggia per tre giorni sui monumenti è Chi compra droghe finanzia le mafie, le loro violenze e il terrorismo. E quando si tratta di lotta alla mafia, in Italia, chi mai si sottrarrebbe? Non certo un sindaco.
Ed è così che ogni traccia di pensiero critico, razionale analisi della realtà e persino buon senso si perdono nel paradosso di un moralismo ipocrita che trova il colpevole di tutti i mali nel consumatore di droghe illegali. Con uno strabiliante rovesciamento, si arriva senza vergogna a biasimare la vittima di un sistema globale perverso: oltre ad affollare le Prefetture, i tribunali e le carceri per un comportamento individuale, oltre alla clandestinità, e ai rischi ad essa correlati, oltre a dover acquistare sostanze pessime, ignote e dannose sul mercato nero, ecco che i consumatori portano sulle loro spalle anche la colpa di nutrire le mafie internazionali. Ignorando che le mafie sono nutrite dal sistema globale della “guerra alla droga”, che ha costruito un mercato illegale dalle proporzioni smisurate, trasformando lo stile di vita di centinaia di milioni di persone che usano sostanze in tutto il mondo in crimine, consegnandole alla violenza e ai profitti della criminalità organizzata. Un sistema che attacca i diritti umani e la salute delle popolazioni, come vanno evidenziando ormai da tempo alcune delle agenzie della stessa Onu, come quelle che si occupano appunto di diritti o di Aids.
L’equivalenza droghe=mafie è un prodotto del sistema globale creato dalle Convenzioni internazionali, una responsabilità della politica, e i consumatori ne sono le prime vittime. E’ bene ricordare che sono i consumatori più consapevoli – e ce ne sono tanti, anche in Italia – a volersi sottrarre alle mafie, mentre sono coloro che stendono striscioni indecenti sui monumenti ad impedirlo: quando un consumatore coltiva tre piantine di canapa sul terrazzo per non rischiare sul mercato nero e per non pagare profitti a chi specula, la risposta è la galera, l’accusa è di spaccio. E in galera qualcuno ci lascia anche la vita (ci ricordiamo di Aldo Bianzino?). Le litanie sulla legalità, allora, sono insopportabili, quando legalità non fa rima con giustizia: giustizia vuol dire mettere fine a questo massacro di vite, di dignità, di sofferenze inutili. Giustizia è metter mano a un riforma globale che superi repressione, stigma, rischio, sfruttamento. Giustizia è legalizzazione.
Che Alemanno oppure Tosi abbiano aderito alla campagna del Dipartimento nazionale antidroga, ancora oggi diretto da Serpelloni, ci sta: questa politica è farina del sacco dei loro governi. Ma che lo stendardo indecente sia stato esposto in città governate da sindaci del centrosinistra (con l’eccezione di Milano, che pure ha aderito alla giornata), magari a suo tempo attenti o, non esageriamo…, sensibili, a politiche meno repressive sulle droghe, dice di uno spappolamento del pensiero critico, di una superficialità, di un disinteresse irresponsabili e colpevoli che lascia interdetti. Basta uno slogan antimafia di facciata, per azzerare la capacità di pensare?