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(di Patrizia Trecci (Assistente Sociale del Cags) – Ristretti Orizzonti, 16 aprile 2007) Negli anni il concetto di sicurezza ha subito molte e nuove interpretazioni. In un contesto sociale dove è sempre più presente la precarietà del lavoro, della casa, etc., in una società che ha perso le sicurezze base del proprio vivere quotidiano si sono acutizzate le inquietudini. La sicurezza viene rivendicata per poterci sentire differenti da chi esprime un disagio, per non essere “contagiati” e poter continuare a vivere nella nostra indifferenza, nel nostro egoismo. Si attuano ormai modelli di sicurezza che tendono a reprimere e ad isolare. Modelli che si contrappongono al concetto di sicurezza sociale. Viviamo in una società dove prevalgono dinamiche improntate su “tolleranza zero”.
Quando si parla di controllo e sicurezza delle città si parla di inserire la polizia penitenziaria all’interno degli uffici o in appositi commissariati territoriali. Questo è quanto emerge in più documenti di alcune organizzazioni sindacali e da dichiarazioni del Ministro della Giustizia. La cosa grave è che il controllo è ritenuto l’unico strumento per affrontare l’inclusione sociale e garantire la sicurezza delle città. Siamo sicuri che questa sia l’organizzazione che serve? Il Coordinamento Assistenti Sociali della Giustizia (Casg) ha discusso molto sul tema del controllo e della sicurezza non tanto per rivendicare un ruolo rispetto ad un altro ma per prendere in esame l’organizzazione che serve.
La conclusione è che non possiamo essere d’accordo sulla costituzione di commissariati di polizia penitenziaria (o inserimento della polizia penitenziaria all’interno degli Uepe) in quanto riteniamo che sul territorio oggi esistano già agenzie che effettuano un controllo generale per la prevenzione dei reati, attività che non può essere disgiunta da quella del controllo sui condannati sottoposti a misura alternativa.
Il controllo della polizia penitenziaria si andrebbe quindi a sommare a quello delle FFOO già operanti con strumenti di conoscenza e radicamento nel contesto territoriale che consentono di esercitare una reale ed efficace vigilanza e prevenzione di condotte devianti. Ad esempio i Carabinieri essendo dislocati anche nei piccoli centri urbani conoscono i luoghi di devianza, le persone … perché fanno parte di quel territorio. Difficile è invece effettuare un controllo di polizia senza conoscere il contesto, il tessuto urbano.
Ma qualcuno ha mai provato a fare due conti? Quanto costerebbe allo Stato l’istituzione di tali “commissariati” che necessiterebbero di numerosissimi uomini e mezzi? Pensiamo ad un grosso centro urbano e al numero di persone in misura alternativa (prima dell’indulto si stimavano circa 2.000 affidati l’anno, 800 detenuti domiciliari, e in più liberi vigilati, liberi controllati): quanti poliziotti penitenziari occorrerebbero per turno (mattina, pomeriggio, notte) per poter effettuare almeno un controllo settimanale? Quante auto di servizio servirebbero per monitorare tutto il territorio?

È gravemente falso dire che oggi la polizia penitenziaria è in esubero e quindi in cerca di nuove mansioni. Questo tipo di affermazioni portano a pensare che non vi sia una programmazione organica che tenga conto di un preciso indirizzo e di una valutazione sui costi e benefici. La sensazione è che si cambino ruoli e competenze senza una precisa regola organizzativa. Si spostano persone come se fossero oggetti. Se sino ad “ieri” si diceva che gli organici della polizia penitenziaria erano carenti di personale costringendo gli agenti a fare doppi turni, straordinari, ecc, non pensate che forse oggi con un minore numero di detenuti presenti si potrebbe finalmente mettere questi operatori nella condizione di svolgere la loro attività come richiesta dalla legge (partecipare all’attività di trattamento intra-murario), dando loro la possibilità di agire la propria professionalità?
In ogni caso per calcolare l’esubero non è sufficiente fare semplicemente il rapporto tra organico di polizia penitenziaria e detenuti perché personale di polizia penitenziaria esercita funzioni di supplenza (con costi ben superiori a quelli che sarebbero, utilizzando personale civile tra l’altro) svolte al posto del personale amministrativo di supporto all’interno degli istituti penitenziari del Dap, dei provveditorati regionali, delle scuole di formazione, degli Uepe, con mansioni di segreteria, contabilità, informatica, guida automezzi. Quindi parte dell’organico considerato è impegnato in altre mansioni.

È fondamentale vengano fatte scelte razionali quali quelle di potenziare le possibilità di costruire e sostenere progetti personalizzati di effettivo recupero sociale, gli unici che possono contrastare il rischio della recidiva e avere un effetto positivo a garanzia della sicurezza dei cittadini, non servizi auto-centrati dove l’unica cosa che conta è dimostrare la complessità del lavoro attraverso la quantità e la pluralità delle professioni comprese al proprio interno organizzazioni che tendano a isolare, che si contrappongono al concetto di sicurezza sociale ma un’organizzazione che condivida la necessità di attivare risorse per migliorare veramente la realtà e la vivibilità del territorio senza rincorrere le paure sociali. Spostando quindi l’attenzione sulle problematiche originarie: criminalità, la devianza giovanile, la tossicodipendenza, l’immigrazione