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Il piano decennale 1998-2008 per la “eliminazione delle droghe illegali” è fallito, ma la Commissione per le droghe Narcotiche (Cnd) e l’agenzia Onu sulle droghe (Unodc) si rifiutano di ammetterlo e rilanciano la war on drugs. L’Italia dà il suo contributo alla conservazione.

A Vienna sta per aprirsi il meeting Onu sulla droga, con la presenza di ministri e capi di governo da tutti i paesi del mondo: lì, il 12 marzo prossimo, sarà approvata la dichiarazione politica di indirizzo alle politiche globali di contrasto alla droga per i prossimi dieci anni. Uno sguardo al passato dovrebbe insegnare qualcosa alla comunità internazionale: nel giugno 1998, all’Assemblea Speciale delle Nazioni Unite sulla droga (Ungass), fu lanciato lo slogan “un mondo libero dalla droga- possiamo farcela”. In un eccesso di ottimismo della volonta’ (e di fiacchezza della ragione), venne fissato il limite temporale entro cui raggiungere la soluzione finale del problema droga: entro dieci anni- così recitava la dichiarazione politica del 1998- gli  stati membri avrebbero eliminato -o significativamente ridotto- la produzione e il consumo delle principali droghe illegali. L’obiettivo del “mondo libero dalla droga” non è stato raggiunto, con ogni evidenza. Basti pensare alla produzione di eroina, raddoppiata negli ultimi dieci anni, o alla cocaina, aumentata del venti per cento. Assai più grave è il costo umano della retorica antidroga.

Diritti umani violati in nome della “guerra alla droga”

Sono milioni i consumatori dietro le sbarre e centinaia di migliaia le persone che hanno contratto l’Aids o l’epatite C attraverso le siringhe contaminate. In nome della “guerra alla droga”, sono largamente calpestati i fondamentali diritti umani dei consumatori. Nei paesi con la pena di morte, questa viene di regola applicata per i reati di droga, violando qualsiasi criterio di proporzionalita’ fra pena erogata e crimine compiuto. Non sono rari i casi di consumatori costretti a“trattamenti”inumani,  che niente hanno a che vedere con questo nome. La violazione più diffusa riguarda il diritto alla salute: negli anni ottanta e inizi anni novanta, in America e in Europa il virus Hiv ha potuto espandersi perché veniva negata ogni forma di cura ai consumatori per via iniettiva che  non volevano – o non potevano- passare all’astinenza. Il metadone era bollato come “droga di stato”, e l’offerta di siringhe pulite era condannata come “rassegnazione – o peggio istigazione- al consumo”. Il dilemma sociale – se privilegiare la morale pubblica o la vita delle persone in carne ed ossa- è stato sciolto mettendo la salute al primo posto: così è nata la riduzione del danno.

La riduzione del danno come strategia che mette al primo posto la salute

Questa politica di sanità pubblica è oggi largamente diffusa in Europa, sancita nei documenti dell’Unione Europa. A livello globale, rimane l’ostilità degli Stati Uniti, che in patria ancora mantengono il divieto di finanziamento federale perfino ai programmi di scambio siringhe. Il presidente Obama ha annunciato di volere togliere il bando a questi programmi, tuttavia nell’insieme la nuova presidenza non ha ancora impresso un nuovo indirizzo alla politica delle droghe. Sin qui gli Stati Uniti rimangono il principale ostacolo allo sdoganamento internazionale della riduzione del danno. Si guardi al carteggio fra il sottosegretario di stato americano Robert Charles e Antonio Maria Costa, direttore dell’ufficio Onu antidroga (Unodc): lì sono documentate le pressioni americane (e l’acquiescenza del direttore) a  mantenere al bando la riduzione del danno (cfr. Fuoriluogo, febbraio 2005).
La partita ha diversi risvolti: gli Usa temono il declino della war on drugs, su cui hanno fondato la loro egemonia ideologica e geopolitica: la militarizzazione di zone cruciali dell’America Latina (come la  Colombia) avviene attraverso la guerra, nel senso pregnante della parola, alle colture illegali e alle popolazioni che vi si dedicano: col sostegno e col controllo americano, a volte tramite l’intervento sul campo di consiglieri militari.

Diritto alla salute, lo scontro fra Europa e Usa e fra le diverse agenzie dell’Onu
A poche ore dall’apertura del meeting, c’è da chiedersi se Vienna 2009 possa segnare l’inizio di un corso più ragionevole e umano della politica delle droghe o se assisteremo al medesimo  rituale di New York. E’ un quesito particolarmente cruciale per i paesi più poveri e meno influenti: a differenza dell’Europa, che ha potuto costruire le sue “politiche miti” in autonomia da Vienna, per non dire in contrasto con Vienna, i primi più difficilmente possono ignorare gli indirizzi internazionali.
In questi dieci anni qualcosa è cambiato. Altre agenzie delle Nazioni Unite hanno cominciato a occuparsi di droga e di diritti dei consumatori. Nello scorso dicembre, il rapporteur sulla tortura scriveva alla presidente della  Cnd (Commissione sulle droghe narcotiche) che sta conducendo i negoziati sulla stesura della dichiarazione politica:  lamentava il mancato richiamo nel testo ai diritti umani e l’assenza di riferimenti alla riduzione del danno. Poche settimane dopo, era la volta del direttore dell’agenzia dell’Aids (Unaids) a chiedere di sostenere in maniera decisa questa strategia. Seguito a ruota dal direttore del fondo mondiale per l’Aids, esattamente con la stessa richiesta.
La riduzione del danno ha assunto un valore simbolico: l’enfasi sulla salute relega in secondo piano, per la prima volta, il braccio armato dell’antidroga. Perciò è diventata il casus belli di Vienna 2009, con l’Unione Europea dei ventisette paesi schierata unita (fino a qualche giorno fa) a favore (insieme al Canada , all’Argentina e all’Ecuador); e gli Stati Uniti contro, in compagnia di un nutrito drappello di paesi autoritari (dalla Malesia, all’Indonesia, al Pakistan alla Nigeria, all’Iran e al Sudan, alla Russia).

L’Italia abbandona l’Europa in nome della conservazione
Fino a qualche giorno fa, appunto:  il fronte europeo e’ stato spezzato dal voltafaccia dell’Italia. Eppure l’Europa si era preparata da tempo all’appuntamento per la revisione delle politiche globali. Nell’autunno 2008, la Ue aveva approvato un documento unitario con l’idea che fosse la presidenza europea di turno (quella ceca) a condurre la trattativa a Vienna a nome di tutti i 27 paesi. E così è stato per ben due mesi, finché l’Italia a sorpresa ha abbandonato la posizione europea e si è schierata col fronte statunitense. E’un fatto inaudito, visto che la riduzione del danno è strategia consolidata a livello europeo, ribadita nel piano d’azione 2009-2012: il piano dedica alla riduzione del danno un obiettivo specifico, con l’intento di “ampliare la copertura e facilitare l’accesso” agli interventi di riduzione del danno; ma affatto sorprendente, poiché questo fondamentale pilastro di sanità pubblica è il grande assente anche dal programma della Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze di Trieste.
Il direttore dell’Unodc sta giocando un ruolo decisivo a favore della conservazione. In una recente conferenza tenutasi in Svezia, Antonio Costa ha affermato: “L’alfabeto della riduzione del danno deve cominciare dalla A come astinenza…prevervativi, siringhe, sono mezzi non fini. Queste azioni caritatevoli non sono controllo antidroga, al contrario perpetuano il consumo di droga (sic!)”.

Verso il declino del ruolo internazionale dell’Onu?
La bozza di Dichiarazione Politica che sarà presentata a Vienna per l’approvazione è largamente insoddisfacente perché non contiene né un forte richiamo ai diritti umani né cita la riduzione del danno e un più forte impegno a tutela della salute. E’ da notare che un cambio di indirizzo era stato richiesto anche dai documenti approvati all’unanimità dalle Ong, al termine della consultazione mondiale Beyond 2008: anche l’appello delle Ong sembra essere caduto nel vuoto Per la prima volta si profila la possibilità che alcuni stati dichiarino di non riconoscersi nella bozza di risoluzione. Chiediamo a tutte le delegazioni di sostenere questa protesta e di non approvare una dichiarazione molto arretrata non solo rispetto agli indirizzi perseguiti in molti paesi, ma perfino rispetto agli indirizzi seguiti da altre agenzie Onu come lo Unaids.
Una cosa è certa: se Vienna 2009 si risolvesse in un replay dell’inutile assise di New York 1998, il governo Onu sulle droghe , con lo Unodc, andrebbe incontro ad una crisi di credibilità, con la prevedibile “secessione” delle politiche a livello locale.