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Cresce l’abolizionismo ma aumentano le esecuzioni capitali per droga
La recente approvazione della moratoria sulla pena capitale in sede di Nazioni Unite ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il conflitto fra questa forma di punizione e i diritti umani. Alla crescita di sensibilità su questo tema, corrisponde una tendenza abolizionista da parte degli stati: ad oggi la pena di morte è stata abolita in 133 stati. Tuttavia, si continua a tacere sul fatto che fra i 64 paesi che la mantengono, in oltre 30 di questi la pena di morte è prevista per reati di droga. Di più: negli stessi anni in cui si riduceva l’applicazione della pena di morte nel mondo, si espandeva la sua previsione e applicazione per reati di droga.
Nel 1985, la pena di morte per reati di droga era eseguita in 22 paesi. Dieci anni dopo, nel 1995, questi erano saliti a 26. Alla fine del 2000, c’erano almeno 34 paesi le cui leggi prevedevano la pena capitale per reati di droga, per lo più nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nel Sud Est asiatico.

Come si applica la pena di morte per droga
Non tutti gli stati che prevedono la pena di morte la applicano, dunque non è facile calcolare il numero delle persone giustiziate per droga ogni anno. Tuttavia, è chiaro che si tratta di un numero significativo, come si evince da diversi rapporti delle agenzie Onu e dalle denunce delle Ong.
Negli anni recenti, sono state eseguite sentenze capitali in Cina, Egitto, Indonesia, Iran, Kuwait, Malaisia, Arabia Saudita, Singapore, Tailandia e Vietnam. Inoltre, in molti paesi si continuano a emanare sentenze capitali per droga anche se poi non vengono materialmente eseguite.
In alcuni paesi le sentenze di morte per droga sono poche, in altri sono invece un numero considerevole. Per esempio, in Malesia, fra il luglio 2004 e il luglio 2005, su 52 sentenze eseguite, ben 36 sono state per reati di droga. Nella stessa Malesia, sono state 229 le persone giustiziate per reati di droga dal 1975 al 2005, secondo quando riferito dallo stesso ministro degli interni al parlamento della Malesia nell’aprile del 2005.
Nel 2004, in Arabia Saudita sono state giustiziate per droga 26 persone, su un totale di 50 esecuzioni capitali. Nel 2005, ne sono state giustiziate altre 33 sempre per reati di droga.
Nel 2003, il Vietnam ha ammesso che le condanne capitali emesse negli ultimi anni hanno riguardato per la gran parte i reati di droga.
Singapore è forse il paese dove si eseguono più sentenze di morte, la maggior parte contro chi ha commesso reati di droga. Fra il 1994 e il 1999, il 76% delle esecuzioni hanno riguardato la droga.
Negli ultimi anni, la Cina ha usato la giornata internazionale del 26 giugno contro l’abuso di droga per eseguire esecuzioni capitali collettive in pubblico. Il 26 giugno del 2001, più di 50 persone sono state giustiziate per droga in raduni di massa, trasmessi anche per televisione. Il 26 giugno del 2002, ci sono state ben 64 esecuzioni pubbliche in diversi raduni sparsi per la Cina. Il 26 giugno del 2004 sono state giustiziate diverse dozzine di condannati, secondo fonti Onu; e ben 55 condanne a morte per droga sono state eseguite nel 2005, in vista della stessa ricorrenza internazionale.

Perché la pena di morte per droga viola le convenzioni internazionali sui diritti umani
La pena capitale non è proibita secondo le leggi internazionali ordinarie, tuttavia è soggetta a limitazioni. L’articolo 6 del Trattato Internazionale sui Diritti Politici e Civili (ICCPR) stabilisce che la pena di morte può solo essere applicata ai “crimini più gravi”. Negli ultimi 25 anni, gli organismi deputati ai diritti umani hanno cercato di definire il dettato dell’articolo 6. In particolare:

  • Il termine “crimini più gravi” va interpretato nella maniera più restrittiva
  • La pena di morte va considerata solo in casi di crimine intenzionale che abbia conseguenze letali o estremamente gravi
  • Gli stati dovrebbero eliminare la previsione legislativa della pena capitale per i reati economici, non violenti e senza vittime.
    Sia il comitato Onu per i diritti umani che il rapporteur delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, extragiudiziarie o arbitrarie hanno decretato che i reati di droga non sono fra i “crimini più gravi” e che le esecuzioni per questi reati violano la legge internazionale sui diritti umani.
    Inoltre, ci sono enorme differenze fra stato e stato nelle previsioni legislative e nell’applicazione della pena di morte per reati di droga.
    Prendendo l’esempio degli stati limitrofi di India, Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh, che insitono nell’area del Triangolo d’oro dell’oppio: la legge dello Sri Lanka prevede la pena capitale per traffico/importazione/esportazione/detenzione di soli 2 grammi di eroina. In Bangladesh la soglia è di 25 grammi, in Pakistan di 100 grammi, in India di 1 chilo. Le stesse leggi sono molto differenti anche per l’oppio: il Pakistan prescrive la pena di morte per detenzione di oltre 200 grammi di oppio, lo Sri Lanka per oltre 500 grammi, il Bangladesh per oltre 2 chili e l’India per 10 chili.
    Le stesse incongruenze si registrano in Cina, Laos e Vietnam, anch’esse facenti parte o vicine al Triangolo d’oro. In Cina la pena di morte può essere applicata per detenzione di 50 grammi di eroina; nel Vietnam, di 100 grammi; nel Laos, di 500 grammi. A Singapore e in Malesia, la detenzione di soli 15 grammi di eroina comporta obbligatoriamente la sentenza di morte.
    L’enorme disparità fra paese e paese e fra paesi confinanti mina l’argomento principale con cui questi stati giustificano la pena di morte per droga: il valore deterrente della pena capitale. Inoltre, la definizione di “crimine più grave” mal si concilia con tanta arbitrarietà di applicazione.

Perché non c’è stata sollevazione contro la pena di morte per droga?
Se la campagna abolizionista è un grande successo del movimento per i diritti umani, con la riduzione del numero dei paesi che applicano la pena di morte, l’aumento dei paesi che applicano la pena capitale per droga nello stesso lasso di tempo è un enorme scacco. La realtà è che l’enfasi sulla repressione e la punizione del consumo, che caratterizza l’azione delle agenzie Onu sulle droghe (a partire dallo Unodc) ha impedito lo sviluppo di un discorso sui diritti umani nel campo delle droghe.
Chiediamo che il movimento per i diritti umani nel suo insieme si faccia carico del tema della droga.
Chiediamo una riforma delle politiche internazionali Onu sulla droga basata sulla promozione dei diritti umani, spostando l’accento dalla repressione e dall’applicazione delle convenzioni penali internazionali alla promozione della salute dei consumatori e delle comunità nel loro insieme.

Da “ The death penalty for drug offences: a violation of International Human Rights Law”, di Rick Lines- International Harm Reduction Association

(scheda informativa a cura di Grazia Zuffa)