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La fisionomia assunta oggi dai consumi di cocaina richiede un cambiamento culturale, professionale e organizzativo nelle politiche pubbliche sui consumi di droghe. Il paradigma attuale di riferimento per l’interpretazione del consumo di droga si è inceppato di fronte ai consumatori di cocaina sia sul versante della percezione sociale – perché non contempla emarginati, persone con disagi, tossicodipendenti, devianti – sia su quello degli operatori, in quanto i consumatori di cocaina “malati” di addiction (la dipendenza) sono rarissimi.
Per comprendere questa impasse e valutarne le conseguenze per le politiche pubbliche, è utile fare riferimento ai cambiamenti delle strategie di mercato che in buona parte hanno determinato queste novità, ancora poco percepite nell’area dei servizi pubblici e del terzo settore, ma anche nell’area della Riduzione del danno: il consumatore bersaglio è una persona integrata (target diverso dal consumatore di eroina); il mercato è liberalizzato, capillare, diffuso: la cocaina si può acquistare sia nelle piazze classiche di spaccio, sia da persone che non hanno niente a che fare con la criminalità, spesso socialmente integrate (studenti, professionisti etc.). Roberto Saviano ha descritto molto bene questa situazione in Gomorra. Questa realtà mette in crisi i servizi, intrappolati dal punto di vista culturale e organizzativo nella logica stretta del paradigma dominante.
L’elemento che mette particolarmente in crisi le strategie dei servizi (compresi quelli di Riduzione del danno ancora troppo legati al modello dell’emarginazione sociale) è rappresentato dall’evidenza che la gran parte dei consumatori autoregola il consumo, come risulta in modo chiaro dai risultati di molte ricerche (cfr. Fuoriluogo, settembre 2008).
Ma come si definisce il controllo, l’autoregolazione del consumo della sostanza stupefacente?
Le indicazioni che emergono dalle ricerche in corso anche in alcune città italiane tra cui Napoli indicano, in modo quasi banale, che la strategia del controllo consiste nel mantenere confinato il consumo in una regione periferica della propria vita quotidiana.
Ogni qual volta il consumo di una sostanza psicoattiva invade altre sfere (lavoro, affetti, ritmo sonno-veglia…) la persona mette in atto strategie di rientro che possono essere varie: dalla riduzione fino alla interruzione transitoria più o meno prolungata del consumo stesso fino alla scelta di non consumare.

Indicazioni per il sistema pubblico
Alla luce di questa complessa realtà si tratta di ripensare la funzione del pubblico in termini di responsabilità, piuttosto che di intervento sempre e a tutti i costi. Si tratta di costruire un modello capace di valutare prima se agire e poi come, e quando.
Consideriamo ora un dato di fatto: i consumatori di cocaina non si rivolgono, se non in casi limitati, ai Sert e alle comunità sia perché questi sono stigmatizzanti, sia perché non offrono risposte adeguate ad esigenze di salute e di vita molto diversificate. Anche se vi sono alcune, poche, ma interessanti esperienze.
Le tipologie di consumatori di cocaina da tenere presenti per una ridefinizione delle politiche e delle azioni pubbliche sono due. La prima è costituita dai consumatori controllati. Per loro i rischi maggiori sono quelli giudiziari e quelli sanitari determinati dalla illegalità del mercato; in parte dalla pressione degli stereotipi. La finalità strategica sta in primo luogo nel limitare i rischi e i danni dei consumi e in secondo luogo nel prevenire l’eventuale perdita di controllo.
La seconda tipologia si riferisce a soggetti affetti non tanto da patologie definite quanto suscettibili di scivolare verso due percorsi di problematicità:

• il primo, da un consumo autoregolato verso uno sfilacciamento delle strategie del controllo (ad esempio: consumi intensivi e troppo ravvicinati, invadenza del consumo in alcune realtà della vita quotidiana etc.)

• il secondo, da un consumo problematico verso una dipendenza o, per meglio dire, verso la perdita del controllo senza la capacità di recuperarlo.
Questa impostazione richiede una riformulazione della Riduzione del danno e dei rischi come paradigma “ospitale” che permetta di individuare e differenziare gli interventi per le diverse tipologie di consumatori.
Per quanto riguarda il consumo controllato o autoregolato bisogna riferirsi alla logica di rete, una rete diffusa tra consumatori, operatori, opinion leader. La finalità è quella di far riconoscere, valorizzare e potenziare le competenze che i consumatori controllati adottano spesso inconsapevolmente, e di farle circolare in una logica di promozione della salute.

“Rete” non vuol dire solo “web”, ma anche relazioni. Si tratta di sfruttare al meglio i meccanismi naturali di circolazione delle informazioni e delle comunicazioni – qualcosa che somigli a quanto avviene naturalmente nella nostra cultura nella trasmissione dei modelli di autoregolazione dei consumi di bevande alcoliche: un insieme di regole e raccomandazioni finalizzate a promuovere modelli d’uso più sicuro (un manuale informale delle competenze?).
Per quanto riguarda l’area dei consumi problematici, occorre superare modelli monorisposta, riduzionistici, preordinati e ambulatoriali. Significa promuovere organizzazioni articolate con equipe sia fisse che mobili, una garanzia assoluta della privacy e prestazioni diversificate (dal counseling alle residenzialità brevi ai semplici controlli per la salute), con accordi tra servizi diversi (salute mentale, servizi di emergenza). Ogni azione deve essere adeguata alle esigenze e ogni soggetto protagonista per il suo ruolo e capace di valorizzare il ruolo dell’altro: per concorrere ad un insieme di strategie coordinate nell’ambito delle quali il pubblico assuma la sua responsabilità specifica di essere comunque presente qualunque sia lo scenario, anche se in modo discreto.
Stefano Vecchio