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Nell’imminenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe, fissata a New York, vanno fatte alcune riflessioni sui rapporti fra l’ONU e i governi degli stati nazionali. Il rapporto fra i politici e i vertici delle agenzie antidroga dell’ONU è condizionato da due fattori:
1) I politici non hanno generalmente una conoscenza approfondita del problema; tendono ad affidarsi ai propri pregiudizi ideologici e ai pareri dei "tecnici".
2) Le agenzie ONU che gestiscono la politica della droga hanno un’immagine di massima competenza tecnico-scientifica, e (per il fatto di avere una dimensione "sovranazionale") danno l’impressione di essere "al di sopra delle parti", dotate cioè di imparzialità politica. In realtà questa immagine è del tutto discutibile.

LA SCIENZA ALL’ONU
Le agenzie antidroga dell’ONU hanno dimostrato di ignorare i criteri di oggettività scientifica in molte occasioni. Una di queste è stata la scelta delle sostanze che sono state proibite dalla Convenzione del 1961. Come è noto, gli intossicanti voluttuari più diffusi nella società occidentale, alcool e tabacco, determinano un danno sanitario e sociale di gran lunga superiore a quello di molte "droghe" illegali. La Convenzione Unica ha messo fuori legge soltanto gli intossicanti voluttuari tradizionalmente usati in Asia, Africa e America Latina (oppio, cannabis, coca). È evidente che questa scelta è stata dettata da motivi estranei a una logica scientifica. Secondo il Royal College of Psychiatrists (la più autorevole istituzione psichiatrica britannica): "Poiché l’alcool era l’intossicante preferito degli europei e dei loro discendenti coloniali americani, e poiché l’influenza politica dell’Europa e del Nord America era così forte nella prima metà del XX secolo, furono i costumi, i pregiudizi e gli interessi economici europei e americani a determinare la politica della Lega delle Nazioni e dell’ONU (…) Il fatto che (…) il commercio internazionale in bevande alcoliche non è soggetto ad alcun controllo (…) non è il risultato di una valutazione razionale delle proprietà farmacologiche della sostanza o di un oggettivo confronto dei suoi relativi pericoli; è semplicemente il risultato della possibilità degli europei occidentali di imporre i loro princìpi, costumi e pregiudizi ad altri popoli" (Royal College of Psychiatrists: Alcohol: Our Favourite Drug, Tavistock 1986, p. 19). Infatti, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha rifiutato nel 1954 di classificare l’alcool fra le droghe che danno dipendenza (cfr. Bruun-Pan-Rexed, The Gentlemen’s Club, The University of Chicago Press 1975, p. 176). Nel 1961, durante i lavori che hanno preparato la Convenzione Unica dell’ONU (quella che ha formulato l’elenco delle sostanze da definire "droghe" e da proibire) i partecipanti sono stati "espressamente istruiti" dalla segreteria generale dell’ONU a escludere l’alcool dalla discussione (Official Records, II, 1961:94). Dopo quattro anni, nel 1965, l’OMS ha finalmente ammesso il concetto di "dipendenza da alcool". Ciononostante, un manuale dell’OMS del 1980 ha stabilito che l’alcool deve essere escluso dalla classificazione fra le droghe che creano dipendenza (Rootman-Hughes, Drug-Abuse Reporting System, WHO, 1980, p. 9) Lo stesso è accaduto con il tabacco. Nel 1962 l’OMS ha sentito il bisogno di negare l’esistenza di una dipendenza da sigarette, basandosi su una ricerca su una scimmia. Nel 1973 un documento dell’OMS ha sostenuto che "la dipendenza da tabacco" è "forse la più diffusa forma di dipendenza da droghe" (WHO, Tech. Rep. ser. n. 516); nel 1977 la dipendenza da tabacco è stata sottolineata da un Rapporto del NIDA (National Institute on Drug Abuse, USA) e dal Royal College of Physicians britannico. Tuttavia, ancora nel 1979, l’OMS pubblicava un rapporto dettagliato sui danni del tabacco in cui la parola "dipendenza" neppure appariva (WHO, Controlling the Smoking Epidemic, 1979). Successivamente, l’ONU e l’OMS hanno denunciato i pericoli del tabacco, ma (non a caso) soltanto quando è iniziata in USA la campagna anti-fumo. Insomma, è chiaro che, per separare concettualmente tabacco e alcool dalle "droghe" illegali, ONU e OMS hanno ignorato per anni acquisizioni scientifiche saldamente convalidate. Le posizioni dell’ONU sulla droga sono state riportate nel 1987 da un opuscolo, in cui si afferma fra l’altro: "(…) nelle discussioni circa l’abuso di droga sono state usate comunemente diverse espressioni che (…) alimentano una concezione errata e impediscono la comprensione della natura dei problemi della droga. L’ONU scoraggia l’uso di tutti i seguenti termini e concetti: "uso ricreativo" di droga, "uso responsabile" di droga, "decriminalizzazione", e la definizione di droghe "pesanti" e "leggere"" (UN, The UN and Drug Abuse Control, UN, 1987, p. 49). In sostanza, l’ONU interviene su alcuni termini tecnico-scientifici collegati a fatti concreti – ma non per argomentare o controbattere: semplicemente per cancellare dal dibattito i "termini e concetti" con cui vengono indicati. L’ONU propone cioè una censura delle parole e anche dei pensieri che sono in contrasto con la sua ideologia: un atteggiamento che ha più dell’esorcismo religioso che di un documento tecnico-scientifico. Rispetto alla cannabis, l’ONU ha sistematicamente ignorato l’imponente letteratura scientifica (pubblicata nell’arco di mezzo secolo da prestigiose istituzioni, anche a livello governativo) che considera questa sostanza relativamente meno pericolosa delle altre droghe illegali e anche di alcool e tabacco. L’ultimo clamoroso episodio è recente: una ricerca sulla tossicità della cannabis, commissionata dall’OMS è stata poi rifiutata dalla stessa OMS perché arrivava alla conclusione che la cannabis è meno tossica dell’alcool (cfr. Scienza Nuova, aprile 1998)

LA POLITICA DELL’ONU
L’idea che l’ONU sia politicamente "al di sopra delle parti" è ampiamente discutibile. Un’inevitabile conseguenza della proibizione delle "droghe" nei Paesi del terzo mondo dove queste erano tradizionali è stata quella di favorire la penetrazione delle droghe occidentali, in particolare alcool e psicofarmaci. Ancora peggio, la proibizione dell’oppio nei Paesi asiatici ha determinato un’enorme diffusione dell’uso endovenoso di eroina, con effetti devastanti, tra cui la diffusione dell’AIDS. Ma questo problema viene completamente ignorato dalle agenzie ONU. È chiaro che l’"imparzialità politica" dell’ONU è limitata all’ambito dei Paesi occidentali. In realtà, dalla Convenzione Unica (1961) in poi, l’ONU ha dimostrato nei fatti la sua subalternità non tanto all’Occidente, quanto in particolare agli USA. Questo dato è stato documentato da diversi studiosi (cfr. Musto, The American Disease, Yale University Press, 1973; Bruun-Pan-Rexed, The Gentlemen’s Club, The University of Chicago Press, 1975; Edwards-Busch, Drug Problems in Britain, Academic Press, 1981, ecc.); ed è dimostrato in maniera emblematica dalla storia di Harry Anslinger, direttore della polizia antidroga USA (FBN, Federal Bureau of Narcotics) fin dagli anni Trenta. Anslinger aveva influito in maniera decisiva alla proibizione della marijuana (nel 1937) sulla base di una ben orchestrata campagna sui media basata su menzogne, su falsi e su assurdità scientifiche. Sta di fatto che, secondo la Commissione del governo USA del 1972, la marijuana era stata messa fuori legge per motivi scientificamente insussistenti e "senza nessuna ricerca seria e completa sugli effetti" (National Commission on Marijuana and Drug Abuse, Marijuana, 1972, p. 16). Anslinger è stato poi nominato rappresentante degli USA in seno alla Convenzione Unica dell’ONU. Di conseguenza, le decisioni cruciali della Convenzione Unica del 1961 sono state pesantemente condizionate da un funzionario di polizia che non aveva alcuna competenza scientifica e che aveva fatto carriera grazie a una campagna di falsi. Anslinger è stato rimosso da direttore dell’FBN nel 1962: evidentemente lo stesso governo USA non lo considerava adeguato al suo ruolo. Ma all’ONU è rimasto come rappresentante USA fino alla sua morte, nel 1970.

DINAMICA DELLA NARCOCRAZIA
La vicenda di Anslinger è emblematica anche rispetto a un altro problema che non è stato finora mai affrontato a fondo. Le leggi sulla droga coinvolgono un numero enorme di persone. In tutto il mondo, milioni di persone vengono processate, messe in prigione per anni o decenni, talvolta condannate a morte. Le istituzioni dell’ONU sulla droga, attraverso il potere di imporre le leggi antidroga agli stati nazionali, hanno quindi un enorme potere sulla vita della gente e sulla situazione politico-sociale dei Paesi. Nel momento in cui le istituzioni antidroga dell’ONU pretendono addirittura di limitare le libertà di espressione (come ha esplicitamente proposto il Rapporto INCB 1997) sorge, per i movimenti antiproibizionisti, ma anche per quelli che difendono i diritti civili, l’esigenza di mettere in discussione la legittimazione democratica di queste istituzioni, a partire da un’analisi critica dei meccanismi che determinano, da parte dei governi nazionali, la scelta, il ricambio e il controllo dei funzionari delle agenzie ONU. In realtà, i comportamenti delle agenzie antidroga ONU fanno pensare che esse non siano una espressione diretta degli stati membri, ma piuttosto un vero e proprio centro di potere autonomo, un mega-apparato burocratico. Ne abbiamo avuto recentemente la prova quando, intervenendo su uno scontro fra Emma Bonino (Commissione europea) e Pino Arlacchi (ONU), il presidente della Commissione europea Jacques Santer ha manifestato il suo esplicito dissenso dalla politica dell’ONU (Corriere della Sera, 27 marzo 1998) Secondo Friedman, i comportamenti delle agenzie antidroga nazionali e internazionali sono dettati dalla logica delle grandi burocrazie statali. Quando una burocrazia intraprende un progetto, e questo progetto fallisce, sarebbe logico che il progetto fosse abbandonato. Ma per i burocrati c’è un’alternativa vantaggiosa: si può sostenere che l’unica ragione per cui il progetto non è riuscito è perché non è stato abbastanza esteso; il progetto quindi non va abbandonato, ma potenziato (cfr. Friedman, in LIA-IAL: Questioning Prohibition, IAL, 1994, p. 47) Il discorso di Friedman si applica perfettamente alle agenzie dell’ONU. Ovviamente, l’"estensione del progetto" va a vantaggio della burocrazia della droga: quante più sono le "droghe" da proibire, quante più sono le persone e i comportamenti da punire, tanto maggiore è il potere delle agenzie ONU; e l’obiettivo di risolvere il problema può essere subordinato a quello di estendere il progetto. Questo argomento trova conferma da una testimonianza non sospetta, quella dell’ex direttore dell’UNFDAC (agenzia antidroga ONU oggi sostituita dall’UNDCP) Giuseppe Di Gennaro: "Non avevo calcolato la forza imponente del burocratismo di cui è ammalato il segretariato dell’ONU (…) dove la sostanza dei programmi e il perseguimento delle loro concrete finalità passano in seconda linea rispetto al gioco delle procedure e dei meccanismi interni, i quali finiscono per divenire il fine effettivo anziché esserne i mezzi" (Di Gennaro, La guerra della droga, Mondadori, 1991, p. 219, corsivo mio).

* Responsabile scientifico di Forum Droghe