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Sono stati fino ad ora esploratori nei territori poco noti della marginalità, del disagio, trascorrendo giorni e notti tra tossicodipendenti, senza fissa dimora e prostitute, inventando paradigmi, riferimenti formativi ed organizzativi, leggendo cosa si nasconde dietro la polvere delle strade e nelle tante “scene aperte” delle città. Oggi gli operatori delle Unità di strada esigono di venire riconosciuti come operatori sociali a pieno titolo, pretendono una corretta valutazione dell’efficacia del loro intervento, chiedono di valorizzare le esperienze innovative di partnership tra pubblico e privato sociale. Questo è quanto emerso il 15 e 16 marzo scorsi a Bologna all’Incontro Nazionale degli Operatori delle Unità di strada, organizzato dalla Regione Emilia-Romagna: oltre 600 i partecipanti da tutta Italia, a testimonianza della loro volontà di comunicare per costruire nuove strategie. L’esito delle due giornate di lavoro è racchiuso in una dichiarazione programmatica (“Carta di Bologna”): il lavoro di strada è inteso come valorizzazione dei saperi e delle esperienze dei vari soggetti che vivono la strada, come momento di promozione del benessere e lotta all’esclusione, come spazio di mediazione culturale e sociale. Ma serve un impegno, per giungere a ciò, che porti da un lato al riconoscimento delle esperienze già realizzate, in una prospettiva di continuità delle offerte dei servizi e di pianificazione degli interventi; dall’altro a raggiungere una flessibilità operativa, superando le precarietà attuali, anche attraverso una formazione adeguata e continua degli operatori, necessaria rispetto a fenomeni complessi ed in continua evoluzione. Anche per tale motivo diventa indispensabile garantire la prosecuzione del finanziamento dei progetti e servizi avviati, per permettere la stabilità e la continuità dell’impegno di chi opera sulla strada, comunque operatore “pubblico” in quanto produttore di legami sociali a favore dei diritti degli utenti. Utenti sempre diversi, considerato che dalle originali, e tuttora prevalenti, iniziative di riduzione del danno per i tossicodipendenti da eroina, questa modalità di lavoro si è estesa ad altre categorie di utenti, per i quali l’accesso ai servizi tradizionali è comunque difficile (si pensi alle attività informativo/preventive per le “nuove droghe” nei pressi delle discoteche o in coincidenza con eventi di grande richiamo giovanile). Troppo spesso questi interventi non sono organici all’attività dei SERT, troppo spesso l’operatore che esce “in strada” è considerato dalle strutture delle AUSL un”parente povero”. Non aiuta, in tal senso la sostanziale assenza di indicazioni governative, testimonianza dello scarso interesse con il quale finora il Ministero competente (non) ha affrontato questi temi. Comuni, Regioni, AUSL e Privato Sociale richiedono invece a gran voce che, anche attraverso la individuazione di indispensabili linee-guida nazionali, il lavoro di strada venga valorizzato, sostenuto, esteso e posto in rete con i servizi sociali. La promozione di specifici progetti, finanziati con la nuova legge del Fondo nazionale antidroga, l’attivazione di mirate iniziative di formazione professionale, anche a valere sul Fondo Sociale Europeo, potranno comunque costituire passaggi fondamentali per riconoscere lo straordinario ruolo sociale del lavoro di strada, per raggiungere l’obiettivo politico di discutere anche di questo prima, durante e dopo la prossima Conferenza Governativa sulle Tossicodipendenze. Nel corso della quale dovremo comunque tutti chiederci molte altre cose.

*assessore politiche sociali, Regione Emilia Romagna