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I dati ci dicono che la gran parte degli utenti dei Sert svolgono un’attività lavorativa, anche e soprattutto in virtù del trattamento cui si sottopongono. Eppure, di questo aspetto così importante nella vita delle persone dipendenti, che li mette in condizione di assolvere ruoli sociali validi, poco o niente compare nella rappresentazione sociale del “problema tossicodipendenza”. Come conciliano (e come vivono) queste persone il doppio ruolo di utenti del servizio e di lavoratori? Il fatto di seguire cure, spesso lunghe e faticose, e di dimostrare di poter svolgere una vita “normale” favorisce la loro accettazione nell’ambiente di lavoro?
Queste le domande cui cerca di rispondere una ricerca condotta a Mestre, Faenza e Borgo San Lorenzo (centro della provincia fiorentina), attraverso interviste semistrutturate a utenti Sert e focus group cui hanno partecipato rappresentanti sindacali. Diversi sono gli aspetti che emergono dalla ricerca: dall’ambivalenza con cui vengono percepiti il servizio e il trattamento metadonico dagli utenti (come una risposta, ma anche come un problema, per gli orari, i controlli etc.); alle problematiche di identità dei soggetti, ben consapevoli del perdurante stigma della dipendenza. Per brevità, mi limiterò ad approfondire il rapporto fra gli utenti e l’ambiente di lavoro, dove il dato più evidente è la differenza di percezione fra i primi e il contesto lavorativo. Gli utenti si sentono “alla pari” degli altri lavoratori, mentre colleghi e datori di lavoro colgono la “differenza indesiderata” della dipendenza, immagine che le cure prestate dal servizio non sembrano modificare in maniera sostanziale.
Peraltro, la vigente normativa sulle droghe rafforza questa rappresentazione, poiché vede nella persona tossicodipendente un soggetto relativamente incapace, del tutto condizionato dalla ricerca della sostanza e dei suoi effetti. Per quanto riguarda gli utenti che lavorano seguiti dai Sert, questo spesso non è vero.
Si tratta invece, per lo più, di persone in età matura, che hanno superato comunque l’identificazione con la sostanza d’abuso. La dipendenza viene percepita come un aspetto che non li comprende completamente. Sono persone in grado di sostenere il confronto con gli altri da pari a pari, hanno famiglie e figli che in genere crescono normalmente.
Nella mia esperienza di lavoro al Sert, un certo numero di persone lavora nelle cooperative sociali presenti sul territorio. Molti sono sindacalizzati e si impegnano per rivendicazioni legittime ed in modo responsabile. Si tratta di condizioni di lavoro non facili, perché le amministrazioni pubbliche o le imprese miste che affidano appalti alle cooperative sociali lo fanno in una logica di risparmio. Così gli stipendi sono molto bassi, il lavoro precario, spesso gli orari sono spezzati, i mezzi a disposizione carenti e vengono spesso trattati come lavoratori di serie B. Gli utenti Sert percepiscono di essere trattati in tal modo per il loro passato o perché fanno parte di categorie “svantaggiate”. La presenza di alcuni soggetti effettivamente problematici non fa che confermare l’atteggiamento di pregiudizio e di svalorizzazione del lavoro degli altri.
Occorrerebbe che le cooperative sociali fossero maggiormente aiutate a salvaguardare la dignità dei loro dipendenti, anche attraverso riconoscimenti economici più adeguati, un’organizzazione del lavoro meno precaria e frammentata. Non si dovrebbe risparmiare sulla pelle delle persone che si riconosce essere “svantaggiate”.
Come già accennato, gli “altri” considerano la persona tossicodipendente “imprevedibile” e dunque da evitare, perché non rispetta le regole e gli impegni. Il giudizio morale sulle qualità della persona spinge a pensare che si tratti di un soggetto immodificabile. Così si cerca in tutti di modi di non assumere una persona tossicodipendente, e sono gli stessi lavoratori a non volerla. Una persona imprevedibile, inaffidabile e immodificabile è vista come un rischio sul posto di lavoro.
Ecco perché i lavoratori considerano il collega tossicodipendente sempre “in prova”. Si crea un corto circuito che crea tensione, perché maggiore è la severità (per mettere alla prova la persona), più forte è la convinzione di immodificabilità.
La presunta immodificabilità del tossicodipendente serve a giustificare la immodificabilità di chi si sente giudice. Gli eventuali errori sul lavoro non vengono più percepiti come tali, ma come una riprova che il collega tossicodipendente “è sempre lo stesso”.
Le persone non sono valutate in base alla qualità e quantità del lavoro prodotto, ma in base ad un pregiudizio di inadeguatezza.
Inoltre, gli standard per valutare il lavoro prodotto non sono quelli medi, ma i più alti. Bisogna cioè lavorare molto di più e meglio degli altri per sperare di essere considerati “alla pari”.
Il pregiudizio moralistico segna il rapporto del contesto di lavoro con la persona dipendente. Magari si cercherà di essere maggiormente solidali (invece che espulsivi) e di trasferire il collega a mansioni più semplici perché percepito più fragile (invece che in malafede); più discontinuo (invece che inaffidabile); più problematico (invece che pericoloso).

È questo l’atteggiamento che sembra prevalere tra i sindacalisti ed i rappresentanti sindacali intervistati per la ricerca.
Pier Paolo Pasolini descrive splendidamente il confronto con la diversità: «Per chi non si droga colui che si droga è un diverso. E come tale viene generalmente destituito di umanità, sia attraverso il rancore razzistico (…), sia attraverso l’eventuale comprensione o pietà. Nei rapporti con il “diverso”, intolleranza e tolleranza sono la stessa cosa. C’è da dire tuttavia che mentre gli intolleranti credono che la diversità dei diversi non abbia spiegazione e quindi meriti soltanto odio, i tolleranti si chiedono spesso, più o meno sinceramente, quali siano le ragioni di tale diversità. Ora tanto io che il mio lettore siamo dei “tolleranti”: c’è da avere dubbi su questo? Perciò la domanda che pongo è la seguente: “Per quale ragione quei diversi che sono i drogati si drogano?”».

La differenza nascosta. Fra normalizzazione e stigma, i lavoratori in trattamento presso i Sert, ricerca promossa da Forum droghe e Cgil, Dipartimento Welfare (a cura di G. Bortone). Scaricabile da www.fuoriluogo.it. info: forumdroghe@fuoriluogo.it