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La Repubblica, martedì 13 novembre 2007, pagina 16, intervista a Raffaele Sollecito, accusato dell’omicidio di Meredith Kercher. Titolo: «Rovinato dalle canne – mi hanno confuso il cervello». Eccolo, finalmente, l’assassino: il Thc, ovvero la marijuana, le canne, l’erba, gli spinelli; altrimenti come spiegare un assassinio così efferato, visto che la “pista africana” per il momento è tramontata, e Lumumba (uno con quel nome poi!) è uscito dall’inchiesta? Rovinato dalle canne dunque, fa intendere il titolo: un altro giovane è accusato di avere commesso un delitto orrendo sotto l’effetto del vizio e delle droghe, come i feroci hashashin, guerrieri musulmani che, secondo un mito che oramai sappiamo essere privo di fondamento, avrebbero perpetrato crimini e omicidi sotto l’effetto dell’hashish. Peccato che, quello che strilla il titolo, Raffaele Sollecito non lo abbia mai detto, come si evince leggendo l’articolo. Infatti, alla domanda del giornalista che gli chiede se si sia pentito di qualche comportamento tenuto nei giorni precedenti o successivi all’omicidio, Raffaele risponde: «Tanto per cominciare non mi farei tante canne. Mi sono intontito per giorni e giorni e adesco capisco che non avere il cervello lucido non mi ha certamente aiutato quando ho dovuto dimostrare la mia innocenza». È evidente dunque che, dopo la morte di Meredith, Raffaele ha fatto uso intenso di Thc proprio per uno dei suoi effetti più ricercati – sedare l’ansia, rilassare – in un momento di forte turbamento e di comprensibile difficoltà. Altro che obnubilamento criminogeno: si è automedicato. Viveva uno stato di notevole disagio emotivo, e come molti suoi coetanei, di ambo i sessi, ha usato una sostanza che la sua generazione conosce bene, sino ad abusarne. Non è una cosa difficile da capire: poteva ricorrere all’alcol, poteva cercare psicofarmaci nel mercato grigio o nella cassetta dei medicinali di famiglia, poteva cercare serenità nella lunga lista delle sostanze psicoattive legali e illegali presenti sul mercato: ha scelto le canne.
Questa intervista di Repubblica a Raffaele Sollecito, e soprattutto il suo titolo, sono emblematici perché rivelano la completa sottovalutazione, nel dibattito politico e nelle rappresentazioni giornalistiche del fenomeno, del significato che hanno assunto molte sostanze psicotrope, compreso l’alcol, per un numero rilevante di persone, tra le quali moltissimi giovani. Si continua ad ignorare che il singolare, in questo campo, non aiuta: non solo non esiste la droga, ma non esistono neanche un uso e una motivazione al consumo.
La cocaina si consuma per piacere? Chiedete agli edili precari, disvelati da un recente documentario trasmesso su RaiTre, qual è il piacere che ricercano comprando venti euro di cocaina e consumandola al posto del pranzo sui ponteggi in cantiere. E la ketamina? Perché molti ragazzi la cercano? Quanti sanno che accanto all’uso più conosciuto, quello teso alla ricerca della dispercezione corporea sino all’idea di morte apparente, molti la assumono in dosi sub-anestetiche perché in quella forma ha una funzione antidepressiva? Le canne, nella nostra società, non servono solo a far ridere: molti hanno imparato a sopravvivere alla società della iperprestazione, della precarietà fatta sistema e dell’ansia elevata a patologia societaria, rollando una canna. Tranquillamente. A proposito, Rudy, l’ivoriano amico di Meredith è rientrato in Italia: la pista africana è di nuovo aperta.