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Da sempre i Balcani sono un punto nevralgico del commercio delle droghe consumate nell’Europa occidentale e del nord, in particolare per l’eroina. Negli anni scorsi le guerre nell’ex-Jugoslavia e l’embargo alla Serbia hanno sconvolto e ridisegnato il traffico illegale dei Balcani: delle droghe, delle armi, dei clandestini. Scrive l’Observatoire geopolitique des drogues nel suo rapporto del 1997 (www.ogd.org): “Nei Balcani lo sviluppo della produzione e del traffico di droghe sembra costituire una risposta alla crisi economica (…). La fine della guerra in Bosnia ha provocato un accelerazione dei narcotraffici. La guerra stessa, le sue modalità e i gruppi che l’hanno condotta hanno costituito una leva per il mutare del fenomeno droghe in questa regione dell’Europa”. I narcotraffici sono divenuti il mezzo di finanziamento di ogni conflitto: grazie ad essi i servizi segreti serbi hanno finanziato in parte le spese di guerra. Alcuni famigerati criminali di guerra, come il serbo Arkan o il croato bosniaco Tuta gestiscono questo commercio. I clan kosovari hanno una posizione di primo piano nel controllo del mercato dell’eroina in Germania, mentre gli albanesi hanno conquistato un ruolo molto importante nei traffici con le zone sotto embargo e come nuova zona di transito dei commerci illegali. Adesso che è in corso la guerra del Kosovo, ci interessava capire il ruolo del narcotraffico nell’insieme degli interessi geopolitici, militari e strategici connessi a questo nuovo conflitto. Ne abbiamo parlato con M. Koutissis, esperto dei Balcani dell’Observatoire geopolitique des drogues. Quanto sono importanti gli interessi legati al traffico di droga in questo conflitto? Bisogna essere cauti. In queste situazioni tutto può essere vero e tutto può essere falso. Quello che è certo, osservando le statistiche dell’Interpol, è che i kosovari risultano essere al secondo posto in Europa per arresti legati al traffico di eroina, come è scritto nel nostro rapporto. E’ chiaro anche il coinvolgimento dei servizi segreti jugoslavi, ma documentarsi sull’azione di un servizio segreto è ovviamente più complicato. Quello che è accaduto, ed è lo stesso fenomeno che si è verificato in Russia, è che dall’89 in poi molti ex-agenti si sono messi in proprio, venendo più allo scoperto. Uno di questi è stato proprio il croato Tuta. Un boss mafioso che era stato uno dei signori della guerra in Bosnia e ancora prima un agente dei servizi segreti. Contro di lui abbiamo organizzato una campagna che ha contribuito alla sua incarcerazione in Grecia. In fondo i servizi segreti hanno sempre avuto un ruolo nei traffici di droghe, anche la Cia. E le droghe sono sempre state uno strumento di scambio per avere armi: quindi anche per i kosovari. Ma è anche una guerra nella guerra per il controllo del traffico in quelle zone? Non precisamente. I traffici sono una parte importante dello sviluppo economico generale. Vedendola con un approccio pragmatico, negli anni passati questo tipo di sviluppo ha dato un ruolo al Kosovo, in qualche modo è stato uno strumento di stabilità. Oggi questo quadro è cambiato. Un esempio: io non ho le prove per affermare che sia vero, ma tutti ricordano le polemiche intorno all’università albanese di Macedonia, che si è detto essere stata costruita con il denaro del traffico di eroina. Secondo me più che sul suo ruolo di zona di passaggio bisogna guardare al Kosovo come zona di riciclaggio, anche pensando al ruolo particolare della diaspora kosovara. E che rapporto esiste tra mafie albanesi e kosovare? Non un rapporto organico. I clan kosovari hanno una storia di traffico internazionale più lunga, sono più forti e organizzati: la diaspora kosovara è ben presente in Canada, Germania, Svizzera. I kosovari, per esempio, erano accettati negli anni ’80 come rifugiati e i clan gestivano il traffico dei passaporti. L’Albania ha visto crescere moltissimo il proprio ruolo in questi ultimi anni, ma rimane soprattutto un paese di transito e trasporto delle merci illegali, anche se da qualche anno esistono delle coltivazioni di cannabis. La “fortuna” dell’Albania nasce grazie ai due paesi sotto embargo con cui confina, cioè Jugoslavia e Macedonia (che subisce l’embargo della Grecia): i clan albanesi hanno potuto così inserirsi nel traffico di armi, sigarette, petrolio diretto a questi paesi. Tutti i traffici sono complementari, come si vede bene in Italia, dove sulla stessa rotta circolano droghe, clandestini, armi. Nel vostro rapporto parlate di “criminalizzazione dello stato” a proposito dei paesi dell’ex-Jugoslavia, come in Serbia ma soprattutto in Bosnia, indicando nella guerra l’aggravante prima di questa tendenza: accadrà lo stesso in Kosovo? Certamente è molto probabile: la corruzione, la presenza di signori della guerra che continuano a esercitare un potere molto forte nella vita di quei paesi. La guerra è un elemento di moltiplicazione dei fattori criminogeni, ancor più oggi.