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Il cammino ufficiale verso l’evento di “Vienna 2009”sta per iniziare. La prima tappa decisiva sarà la riunione della Cnd (Commission on narcotic drugs), agli inizi di marzo, chiamata a decidere le modalità e i contenuti del “periodo di riflessione” fino a Vienna 2009: in breve lì si decideranno i criteri e le modalità della valutazione circa la strategia decennale sulle droghe, lanciata all’assemblea generale di New York nel 1998. Ci sarà lo spazio per riflettere seriamente sulle politiche globali delle droghe? Oppure assisteremo alla consueta retorica celebrativa?
Al secondo scenario sta lavorando alacremente l’agenzia Onu sulle droghe (Unodc) e il suo indefesso direttore, Antonio Costa. Nell’ultimo rapporto Unodc sulla situazione mondiale delle droghe, si parla di “contenimento” del problema. Abbiamo a suo tempo contestato questo giudizio ottimistico, perfino sulla base dei dati contenuti nel rapporto (cfr. Fuoriluogo, luglio 07); per non dire che il preteso “contenimento” diventa una gustosa boutade alla luce della sistematica sottovalutazione della produzione globale di cocaina, denunciata dalla documentata ricerca dell’associazione Libera (ne ha parlato nello scorso numero Sandro Donati, che ha condotto lo studio). D’altra parte, la dichiarazione politica di New York era chiara: l’obiettivo stabilito è la “eliminazione o la riduzione significativa della produzione di droghe illegali entro dieci anni”. Ora, le droghe non sono certo state eliminate, ma la parola sì. Quanto alla “riduzione significativa”, la si vorrebbe equivalente alla “stabilizzazione”: in pratica, il famoso containment della droga di cui parla (e straparla, come si è visto) il World Drug Report 2007. Ecco trovati i mattoni per costruire il successo annunciato: infatti il documento predisposto da Costa per la Cnd di marzo a Vienna sarà su questa linea.
Eppure non tutto sembra scontato. Per prima cosa, pare che l’Unione Europea non si accontenti dei confetti d’occasione e stia predisponendo una valutazione indipendente. Anche perché cresce in generale lo scontento nei confronti della politica Onu sulle droghe: tanto che il ruolo svolto dallo Incb è già stato messo sotto accusa a livello di Cnd. Se l’Europa assumesse una posizione autonoma e originale nello scenario mondiale, sarebbe un fatto di rilievo.
La seconda novità è il coinvolgimento delle Ong nella costruzione del percorso verso Vienna 2009. Il processo è già iniziato, con le consultazioni regionali che si sono svolte a gennaio. Come Forum droghe, ho partecipato a quella europea di Budapest, col contributo del governo ungherese. Ne sono uscita con un moderato ottimismo. Di sicuro non sono da attendersi risultati miracolosi dalla “spinta dal basso”: basti guardare alle associazioni presenti, la gran parte ben schierata politicamente nel fronte proibizionista più rigido, scandinavi e San Patrignano in testa (la stessa rappresentanza che è accreditata permanentemente all’Unodc). Tuttavia, erano presenti (e combattivi) anche molti gruppi di interesse dei consumatori e organizzazioni che operano nella riduzione del danno, oltre a Encod e, per l’Italia, Itaca. L’appello iniziale a trovare un “terreno comune” di dibattito non mi è parso di facciata e i temi più scottanti non sono stati elusi: nessuno ha osato contestare i danni delle convenzioni e il conflitto fra la loro applicazione e i diritti umani. Il cambiamento dei trattati internazionali non è però all’ordine del giorno, neppure nell’agenda delle organizzazioni non governative: alla fine, il terreno comune è consistito nella richiesta di maggiore flessibilità nell’applicazione delle convenzioni. In pratica, sancire una qualche autonomia locale permetterebbe alle mild policies di marca europea di ottenere un riconoscimento: importante non tanto per l’Europa, quanto per i paesi politicamente più deboli che potrebbero praticarle senza subire i ricatti delle burocrazie Unodc. Sulla stessa linea, la richiesta che il diritto alla salute prevalga sulla repressione, e di conseguenza che la Oms venga riconosciuta come l’agenzia competente sulle questioni scientifiche: un passo non di poco conto, se solo  ricordiamo le vicissitudini infinite della classificazione del dronabinolo (il Thc sintetico, il principio attvo della canapa): a più riprese le proposte della Oms sono state respinte, e a volte non sono neppure arrivate sul tavolo della Cnd.
Si delinea dunque una strategia riformista, non solo per mantenere gli equilibri politici all’interno del variegato mondo associativo; quanto per individuare un approccio realistico da far valere presso i governi dei singoli paesi, credibile e praticabile in sede internazionale. È la linea sostenuta con forza da Idpc (International Drug Policy Consortium) e dal suo coordinatore Mike Trace, presente a Budapest: sconfiggere la linea dura, spingendo verso un maggior protagonismo dei paesi membri e una riforma interna delle agenzie Onu.
Da qui le direttrici della piattaforma di Idpc: un maggior coordinamento fra le agenzie competenti (Oms, Unaids e organismi che si occupano di diritti umani), la riconversione di Incb e Unodc in agenzie di expertise “oggettive e indipendenti”, sempre più centrate sulla riduzione della domanda, invece che dell’offerta; la riduzione del danno: nel 1998 qualche accenno era presente nella dichiarazione sulla riduzione della domanda, stavolta si tratterebbe di rendere più esplicito il tema. Inoltre, il principio dovrebbe estendersi anche ai paesi produttori, sancendo il no all’eradicazione forzata e proponendo in alternativa la riconversione volontaria delle colture in parallelo/a seguito dello sviluppo sociale; i diritti umani: è un nuovo e promettente taglio della questione droghe che permette di tenere unita la lotta nei paesi prodottori e in quelli consumatori (contro la pena di morte per reati di droga, le migrazioni dei contadini  per le fumigazioni, ma anche contro gli strappi alle garanzie degli imputati nei paesi occidentali e la sistematica negligenza delle esigenze di salute dei consumatori in ottemperanza al principio del divieto).
Non sappiamo se tutti questi punti troveranno l’accordo unitario delle Ong a livello mondiale; e neppure se i paesi europei si presenteranno come fronte progressista (più o meno) compatto (pare che Sarkozy prometta il pugno duro). Ma ce n’è abbastanza per iniziare il lavoro di lobbying. Intanto Encod ha già il suo programma di mobilitazione straordinaria a Vienna, prima della riunione della Cnd del prossimo marzo. Un’occasione da non perdere.
Grazia Zuffa