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Il 6 Ottobre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul tema delle droghe. L’originario rapporto era stato stilato dall’on. Hedy D’Ancona, presidente della Commissione libertà pubbliche e affari interni, e discusso in quella sede quale contributo dell’Europa in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla droga del giugno scorso. Al voto finale si è giunti addirittura mesi dopo l’appuntamento di New York, a testimonianza del travaglio del dibattito, prima in Commissione poi nell’Aula di Strasburgo.

Il primo rapporto D’Ancona sosteneva una linea molto chiara di approccio pragmatico in materia di sostanze stupefacenti e sulla riduzione del danno. In particolare, si chiedeva che gli stati membri uniformassero le legislazioni nazionali all’effettiva prassi attuativa e che l’Europa si facesse promotrice di una modifica delle convenzioni nel senso di “depenalizzare il consumo di droghe illecite, regolamentare la produzione e il commercio di cannabis e permettere la prescrizione medica di metadone ed eroina”. Il testo usciva profondamente modificato dal confronto in Commissione e successivamente l’Assemblea generale respingeva a larga maggioranza gli emendamenti radicali che proponevano la legalizzazione delle droghe leggere. Abbiamo chiesto alla stessa Hedy D’Ancona, socialista, che è stata ministra della Sanità in Olanda, di chiarirci questa tormentata vicenda.

In Italia, stampa e televisione hanno dato grande risalto alla risoluzione del Parlamento europeo, presentandola come una vittoria del proibizionismo, perché sarebbe stata respinta la legalizzazione della canapa e la somministrazione di eroina terapeutica e ribadito l’impegno alla repressione poliziesca e ai programmi terapeutici unicamente basati sull’astinenza. Condivide questo giudizio?

No, penso che la risoluzione approvata sia un punto di equilibrio fra due diverse politiche adottate in Europa, quella moralistica (tipica della Svezia) e quella “medica” (adottata soprattutto in Olanda e in alcune parti della Germania). Sono stata ministro della Sanità in Olanda e ovviamente condivido l’approccio olandese e non avrei accettato che la risoluzione presentata da me risultasse sbilanciata verso una linea restrittiva. Ho cercato e trovato una mediazione, poiché ci sono differenti approcci in Europa e un’armonizzazione delle politiche è al momento impossibile. Ogni Paese vuole seguire la sua politica e non vuole cambiarla. La risoluzione è un punto di mediazione e di equilibrio e riconosce che ogni Paese ha da imparare dall’esperienza dell’altro. Inoltre, essa dà via libera alle sperimentazioni locali, nell’area della prevenzione e dei trattamenti per tossicodipendenti, tenuto conto delle differenze (la situazione è del tutto diversa nelle grandi città, come Roma, Amsterdam, Parigi, rispetto alle località di provincia). Ma quel che è più importante è che la riduzione del danno e le sperimentazioni in questo campo sono consentite.

D’accordo, ma è scomparso ogni riferimento alla necessità di modificare le Convenzioni ONU, nonché l’invito agli stati europei ad adeguare le legislazioni alla pratica effettiva, il che significava in pratica un invito alla depenalizzazione del consumo¼

Non è esatto, perché rimane l’affermazione che ovunque in Europa ci sono enormi discrepanze fra la legge e la realtà. In molti Paesi, come anche in Italia, se sei un consumatore di droghe leggere di norma non sei perseguito penalmente, perché le prigioni sono già sovraffollate per crimini correlati alla droga. A volte perfino i consumatori di droghe pesanti non sono messi in prigione. C’è un divario fra la realtà e ciò che prescrivono le Convenzioni ONU, che sono abbastanza elastiche; tant’è che in Olanda si sta sperimentando la prescrizione di eroina e da anni portiamo avanti la nostra politica di decriminalizzazione della canapa. Anche all’interno delle attuali Convenzioni c’è lo stesso una certa libertà nelle politiche e nella sperimentazione. E poi nessuno può pretendere, né la Svezia né l’Olanda, di aver trovato la soluzione al problema della tossicodipendenza. Dobbiamo saper imparare ognuno dalle esperienze dell’altro. La mia risoluzione non è una vittoria della liberalizzazione ma neppure una vittoria dell’altro schieramento, perché tutti, dico tutti, gli emendamenti restrittivi sull’esempio della politica svedese sono stati respinti. Questa è stata la mia piccola vittoria, non certo una grande vittoria, ma una piccola, sì.

Rimangono tuttavia contraddizioni, perché ad esempio si ribadisce la priorità della riduzione del danno, ma poi si dice che i trattamenti medici per i tossicodipendenti devono essere finalizzati all’astinenza…

Ma non c’è nessuna contraddizione. Anche in Olanda ci sono centri specializzati per tossicodipendenti che vogliono disintossicarsi, a volte i risultati sono positivi, a volte no. La risoluzione tiene presente le necessità dei tossicodipendenti che hanno deciso di fare a meno della droga, ma – e questo è molto importante – dice anche che hanno diritto all’assistenza medica i tossicodipendenti che non possono fare a meno della droga. Ambedue gli aspetti sono presenti.

Certo, la riduzione del danno è parte integrante di un sistema complessivo di cura, in cui trova il suo posto anche il percorso di uscita dalla tossicodipendenza. Ma quando si dice che si devono destinare più fondi alla riduzione del danno e più fondi ai trattamenti basati sull’astinenza sembra che non ci si riferisca tanto a una opportuna integrazione fra i due percorsi quanto ad una politica del tipo “un colpo al cerchio e uno alla botte”¼

Ovviamente si tratta di un compromesso, però insisto che non c’è contraddizione. La vera contraddizione era nel testo presentato in Aula, ai punti 10 e 11. Nel primo si riconosceva lo scarto fra le legislazioni esistenti e la loro concreta applicazione, giungendo alla conclusione che gli stati membri avrebbero dovuto rispettare maggiormente le leggi e le convenzioni internazionali. Nel secondo si stabiliva come obbiettivo una società “libera dalla droga”. Questi erano davvero punti regressivi, ma io stessa ho presentato gli emendamenti e l’assemblea li ha accolti.

D’accordo, ma la raccomandazione 24 ribadisce comunque l’adesione e l’obbedienza dell’Europa alle Convenzioni ONU… È un punto accettabile?

Neppure a me piace questa raccomandazione, io ero contraria ma l’Assemblea l’ha accettata. D’altra parte, come ho detto, sono stati accolti i cambiamenti da me proposti ai punti 10 e 11. Nel testo approvato è scomparso il riferimento ideologico a concentrare tutti gli sforzi verso una società libera dalle droghe. E, quando, al punto 10 (divenuto 11 nel testo definitivo) si riafferma la discrepanza esistente fra le leggi e la realtà dell’applicazione, e si invita solo ad appurare se queste discrepanze siano compatibili con le Convenzioni internazionali. E noi sappiamo che lo sono e che c’è spazio per sperimentare anche all’interno delle attuali Convenzioni. Dunque, anche qui si è trovato un punto di equilibrio fra un approccio idealistico per una società “libera dalle droghe” e un approccio pragmatico.

Deve però ammettere che il suo rapporto presentato in Commissione era più coerente. Non si affrontava esplicitamente il tema della legalizzazione della canapa, ma c’era una linea chiara sulla riduzione del danno, con un preciso riferimento alla possibilità di sperimentare la somministrazione di droghe pesanti. Perché nel Parlamento europeo c’è tanta resistenza anche sulla riduzione del danno, visto che questa politica è assai diffusa in molti Paesi europei, dall’Olanda, all’Inghilterra, alla Germania ma non solo?

Le droghe sono un tema molto “politico” e non c’è sufficiente comunicazione fra gli esperti, fra chi opera sul campo e i politici. I politici vogliono rassicurare la popolazione, dicendo quello che a loro giudizio la gente si aspetta di sentir dire: che sono contro la droga, che vogliono difendere i loro figli, che sono per una società senza droga. La gente è molto spaventata per tutto ciò che accade intorno nella società e rassicurarli è la cosa più semplice. È una forma di opportunismo politico.

Al riguardo, ci sono differenze significative fra la destra e la sinistra?

La destra nel suo insieme è più moralistica e per un approccio più repressivo e restrittivo, la sinistra, sempre nel suo insieme, è più liberale e aperta a un approccio medico. Poi ci sono eccezioni in ambedue gli schieramenti. Quando ho presentato il mio rapporto in Commissione, i laburisti inglesi non sono stati d’accordo con la mia impostazione liberale. Questa è la ragione per cui ho dovuto tornare indietro e valutare fino a che punto mi potevo spingere. Ho dovuto venire a patti non solo coi democristiani ma anche coi laburisti, perché senza di loro non avevo la maggioranza. I laburisti sono molto forti nel gruppo socialista, e mi sarebbero mancati ben 61 voti.

Questo la dice lunga sullo spirito liberale dei laburisti. Lei che cosa ne pensa?

Il nuovo partito laburista non è proprio un partito di sinistra. Ci sono questioni su cui i laburisti mantengono un’impostazione socialdemocratica, come il lavoro e l’istruzione, ma sulle droghe sono molto restrittivi. Anche se in Inghilterra è facile procurarsi le droghe, anche quelle pesanti e fumare gli spinelli, e di norma non si è puniti. Ma i politici del labour si comportano come se tutto ciò non esistesse: è una forma di ipocrisia politica.

Vuol dire che Blair si sta mettendo sulle orme di Clinton?

No, perché la situazione in Inghilterra è ben diversa , basti pensare alla sanità, all’occupazione, all’istruzione. Se dovessi scegliere non avrei dubbi, preferirei vivere in Inghilterra. Anche per le droghe, Blair è per una politica di fermezza, ma la realtà sociale va in altra direzione.

Tornando alla risoluzione. Pensa che sia un passo avanti anche rispetto ad altre prese di posizione del Parlamento europeo?

Non un grande passo in avanti, ma uno piccolo sì. Non si va nella direzione di rafforzare credenze religiose in una società libera dalle droghe, non si va verso una maggiore repressione. È un piccolo passo ma nella giusta direzione.