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Recentemente nuove evidenze scientifiche sembrano scalfire le rassicuranti certezze ideologiche dietro cui hanno continuato a trincerarsi le autorità politiche dei nostri paesi per giustificare la proibizione, e la “tolleranza zero”anche per la canapa. Nell’autunno del ’98 il comitato di scienziati inglesi, nominato dalla Camera dei Lords per studiare le potenzialità terapeutiche della canapa, aveva dato responso positivo, chiedendo che i medici fossero autorizzati a prescrivere la sostanza per un target mirato di pazienti. Nel Marzo di quest’anno un’indagine scientifica, commissionata dal Congresso di Washington all’Institute of Medicine della National Academy of Sciences, è giunta alle stesse conclusioni, provando inconfutabilmente che la marijuana può svolgere un ruolo importante nel trattamento di affezioni anche gravi, quali vari tipi di cancro, l’AIDS, il glaucoma e la sclerosi multipla. Il rapporto dell’Institute of Medicine smentisce inoltre, ancora una volta, l’esistenza di un legame automatico, o anche solo di una “sequenza preferenziale” (“gateway drug”), fra canapa e droghe “pesanti”. Raccomanda, piuttosto, di condurre ulteriori studi che consentano di sviluppare forme di assunzione dei cannabinoidi alternative al fumo, per ovviare ai possibili effetti collaterali di quest’ultimo (ad es., mediante apparecchi per inalazione). Sottolinea tuttavia con forza che nel frattempo, in assenza degli inalatori che potrebbero renderlo ottimale, il rapporto costi/benefici dell’impiego curativo della cannabis resta comunque nettamente favorevole, in quanto i possibili effetti collaterali del fumo sono abbondantemente compensati, ed anzi sopravanzati, dai vantaggi terapeutici ottenuti in tutte le patologie indicate. Tali conclusioni, riportate da autorevoli riviste scientifiche quali il New England Journal of Medicine, appaiono del resto avvalorate da alcuni casi clinici eclatanti, come quello di Greg Scott, paziente affetto da AIDS conclamato, che, debellando col fumo della marijuana (dopo aver provato inutilmente altri farmaci) il grave malessere, la nausea e la perdita di appetito indotti nel suo caso dalle nuove terapie anti-AIDS, è riuscito ad invertire la tendenza inarrestabile ad un severo calo ponderale minaccioso per la sua sopravvivenza. A fronte di questa ennesima, documentatissima conferma scientifica della validità terapeutica della canapa, il commento imbarazzato, anche se largamente prevedibile, dello “zar” anti-droga, generale Barry McCaffrey, è stato: “Questo studio sembra indicare che l’uso terapeutico del fumo della marijuana non ha futuro”. La singolare affermazione di McCaffrey appare improntata al tentativo, un po’ patetico, di sfruttare l’unico appiglio che gli permetta in qualche modo di ribaltare e stravolgere il senso dei risultati dell’indagine. Nel commento del generale americano, insomma, l’unico possibile effetto collaterale (peraltro infinitamente meno rilevante di quelli causati da chemioterapici, antibiotici, cortisonici e molti altri farmaci correntemente in uso) viene, per così dire, artificiosamente gravato di una valenza morale negativa che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con l’obiettività scientifica. Nell’ambito di una logica che prescindesse dal pregiudizio ideologico, la conclusione ovvia sarebbe: “Visto che la marijuana può far bene, motivo di più per legalizzarla”; il ragionamento proibizionista suona invece: “Visto che è illegale, bisogna pur dimostrare che non può far bene”, contestando così i risultati di una scienza che non sa, o non vuole adeguarsi alle superiori direttive politico-ideologiche. Lysenko docet?.