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Come “domare” la cocaina: è il titolo dei due volumi del sociologo belga Tom Decorte, incentrati su una ricerca del 1999, per studiare i modelli di consumo di cocaina di 111 soggetti reclutati nei locali di divertimento di Anversa. Nel follow up, i consumatori sono stati di nuovo intervistati a distanza di qualche anno, fra il 2002 e il 2004. Il concetto di “domare/addomesticare” (taming) applicato alla droga suona inusuale, anche se Decorte si inserisce in un filone di studi ormai consolidati (ma non per questo meno “nascosti”). L’ipotesi di fondo è che la cocaina, nonostante le sue caratteristiche chimiche “indomabili” (leggi dannose/additive) possa essere domata. Anzi: la gran parte dei consumatori è in grado di domarla (in maniera non molto dissimile da come la gran parte dei consumatori di alcol riesce ad addomesticare questa sostanza altamente additiva). Ciò che non sappiamo è come questi consumatori riescono a tenerla a bada: ossia quali meccanismi di “controllo” mettono in campo per raggiungere lo scopo.
Siamo agli antipodi del cosiddetto “farmacocentrismo”, che vorrebbe le persone preda delle caratteristiche chimiche delle sostanze. Al contrario, gli individui svolgono un ruolo attivo: nonostante gli innegabili rischi della cocaina, i consumatori sono in grado di controllarla seguendo una serie di “regole” informali che prescrivono in quale quantità, in quali occasioni, in quale stato d’animo, con quale modalità di assunzione e frequenza, si può consumare senza che l’uso diventi troppo rischioso. Sono le regole (dette anche “controlli informali”) che i consumatori apprendono nell’ambiente socioculturale in cui sono immersi: in una parola, sono le culture del consumo che si rivelano altrettanto, se non più importanti, della chimica.
Prima di addentrarsi nei risultati dello studio, è bene chiedersi perché parlare di consumi “controllati” generi ancora tanto scetticismo. Anzi. Più che di scetticismo, si potrebbe parlare di incredulità, almeno nel largo pubblico: non sono forse le droghe illegali dannose e “incontrollabili” per loro natura, in quanto provocano dipendenza? Anche il direttore dell’agenzia Onu sulle droghe, Antonio Maria Costa, ha di recente ribadito che «le droghe sono illegali perché dannose» (e non viceversa, si è premurato di precisare).
Anche molti addetti ai lavori mostrano fastidio o quanto meno indifferenza: ammesso che questi consumatori “controllati” esistano, che cosa possono apportare di conoscenze utili alla cura delle persone dipendenti? Fra i “sani” e i “malati” – questa l’antifona – c’è una barriera, la malattia appunto.
Quest’ultima obiezione è più sofisticata, lasciamola ad un secondo momento. La prima invece – la intrinseca incontrollabilità delle sostanze illegali – è quella più importante, perché più aderente al senso comune diffuso, che peraltro accomuna l’opinione pubblica e gli esperti. Ne è spia significativa la differenza delle domande rivolte alla ricerca a seconda che si parli di alcol o di droghe illegali. Nonostante il gran parlare intorno ad un “approccio comune fra droghe illegali e legali”, per le prime i quesiti di gran lunga più ricorrenti riguardano il perché le droghe vengono usate: nel tentativo di scoprire le particolari motivazioni individuali e i particolari deficit che spingono alcuni individui a consumarle; domanda che suonerebbe paradossale per l’alcol, e infatti gli studi si indirizzano a come si usa l’alcol, cercando di distinguere fra uso e abuso; mentre le politiche pubbliche cercano di prevenire l’abuso incoraggiando le culture del consumo controllato. Ecco perché una ricerca come quella condotta in Belgio va ancora controcorrente, nonostante, lo ripetiamo, i primi studi sui consumi controllati risalgano agli anni ‘70: l’idea è di studiare come viene consumata la cocaina da parte di quelle persone che non si limitano a provarla, ma continuano ad usarla con una certa regolarità. Persone reclutate in un contesto “normale” e che si presume conducano una vita “normale”; che non hanno mai avuto bisogno di rivolgersi ai servizi per le dipendenze e non hanno problemi con la giustizia.
Riportare in maniera esauriente e sistematica i risultati della ricerca di Anversa è impresa impossibile in questo breve scritto, mi limito a segnalare gli esiti che più sfidano gli stereotipi comuni.
Primo: la cocaina è una sostanza “uncinante” – si dice. Perciò, o smetti subito oppure ti “prende” e diventi cocainomane. Eppure, nel lavoro di Decorte, la maggioranza degli intervistati sono consumatori moderati. Non solo: nel corso del tempo, il controllo generalmente aumenta. Si guardi ad esempio all’indicatore che più frequentemente è citato dai consumatori come indice di controllo sulla sostanza: l’essere in grado di astenersi periodicamente dall’uso. Nella prima ricerca, l’89,6% delle persone aveva fatto a meno della cocaina per uno o più periodi superiori ad un mese; cinque anni dopo, fra gli stessi intervistati, la percentuale di astinenti periodici era salita al 93,5%.
Secondo: quando sei entrato nel tunnel della dipendenza, il gioco è fatto – si dice – e ce n’è di strada da fare per uscirne. Eppure, la ricerca dimostra che ci può essere un’escalation nel consumo di cocaina, fino a raggiungere livelli “pesanti”, ma che in genere si torna indietro a livelli moderati. Così, circa la metà dei consumatori di Anversa dichiara di aver attraversato un periodo di consumo pesante, ma solo il 5% ha mantenuto nel tempo quel livello. Non solo: il fatto di attraversare delle fasi di consumo pesante non esclude che si possa in seguito diventare astinenti o diminuire sensibilmente l’intensità del consumo. E questa è una risposta all’obiezione succitata, di quegli operatori che ritengono ci siano due categorie incomunicabili di consumatori moderati da un lato, e di persone che aumentano i consumi fino alla vetta della dipendenza, dall’altro. In realtà, i percorsi sono variabili, e possono esistere periodi di “non controllo” anche nelle carriere dei consumatori controllati. In conclusione: per capire come e perché certi consumatori hanno perso il controllo sulle sostanze, bisogna affrontare la questione del come e perché altri, o gli stessi in altro periodo, riescono a controllarle.
Ancora: la cocaina è una sostanza pericolosa, anche per gli inconvenienti che presenta (il repentino calo d’umore dopo l’effetto euforico, l’essere “schizzati” e così via) – si dice – quindi non c’è modo di “governarla”. C’è una parte di verità in questa affermazione. La cocaina presenta diversi svantaggi e i consumatori imparano a riconoscerli nel tempo. Ma proprio questi inconvenienti agiscono come fattore di controllo: solo l’uso moderato permette infatti ai consumatori di apprezzare i “vantaggi” della sostanza senza che gli svantaggi prendano il sopravvento. Se invece l’uso è eccessivo, la bilancia pende dalla parte negativa. È questa una delle principali ragioni per cui la gran parte dei consumatori dopo un po’ diminuisce l’uso e alcuni perfino abbandonano la sostanza.
Il consumo di droga non si differenzia da molte altre esperienze umane, questo al fondo il succo della ricerca: i consumatori apprendono dall’esperienza propria e da quella degli altri i rituali d’uso e le regole di comportamento utili a “domare” la cocaina. Consumatori controllati si diventa, nonostante la droga.
Grazia Zuffa