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La “vicenda doping” è l’ultimo, gravissimo episodio che mette in luce sia la necessità di una profonda riforma del sistema sportivo italiano, sia l’incapacità e la non volontà dei massimi dirigenti di produrre una spinta riformatrice (che fine ha fatto il Congresso Olimpico? E la Conferenza del governo sullo Sport? E la riforma delle società dilettantistiche e degli enti di promozione sportiva?). Dovrebbe inoltre far riflettere attentamente il fatto che ancora una volta, si deve all’intervento della magistratura il tentativo di far luce su una ragnatela ben salda di responsabilità, complicità, omertà di dirigenti e organismi le cui autodifese vanno al di là del grottesco. Il fenomeno dell’abuso dei farmaci nello sport è oggi così vasto e stratificato da far risultare francamente furbastro sia il tentativo di separare le responsabilità che quello di offrire un capro espiatorio (la sospensione di un mese del dott. Gasbarrone responsabile del laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa è semplicemente ridicola). La vicenda doping rivela fino in fondo come dietro alla bandiera dell’autonomia dello sport, si sia sviluppato nel tempo un sistema di potere in cui l’irresponsabilità è proporzionale alla esibizione di impunità e all’antica pratica dello scaricabarile. Il doping ha assunto sempre più le caratteristiche del fenomeno della “tossicodipendenza”, quindi pericoloso per la salute dei cittadini, e come tale va affrontato con una strategia generale fatta di azioni del governo, del parlamento, del sistema sanitario nazionale e locale, delle istituzioni sportive che devono contrastare la rincorsa del primato attraverso la farmacologia. L’escalation del doping potrebbe essere schematizzata in questo modo: si conoscono dati statistici e scientifici sull’abuso dell’ormone della crescita dal 1984 e dell’eritropoietina dal 1988 e si conoscono gli effetti devastanti di queste sostanze sulla salute degli atleti (si contano a decine i morti – 22 solo nel ciclismo – e a centinaia gli invalidi, giovani ragazzi e ragazze dializzati con disfunzioni epatiche e renali irreversibili o trombofilici costretti all’uso perpetuo di farmaci salvavita): nonostante ciò il CIO non ha operato nessun adeguamento del sistema di analisi e controllo antidoping. Ciò ha garantito un terreno di certezza d’impunità sul quale ha fatto strada una cultura di miglioramento della prestazione sportiva e una rincorsa spasmodica del primato attraverso la farmacologia. Su questo terreno favorevole si sono insediate due figure emblematiche: il medico dopatore, che con un intervento mirato e sistematico crea una dipendenza psicologica e poi farmacologica dell’atleta nei suoi confronti, sia per l’assunzione di sostanze dopanti sia per l’assunzione di tanti altri medicinali utili a tamponare gli effetti collaterali che sfociano in vere e proprie malattie acute e croniche. Il trafficante di farmaci, il quale costruisce una rete di approvvigionamento illecito, che dalle case farmaceutiche arriva al banco della farmacia. Del resto, non si tratta di medicinali costruiti ad hoc per dopare gli atleti, bensì di dirottare su questo mercato farmaci che sono regolarmente in commercio per la cura di varie patologie. In questo modo il fenomeno, con il suo risvolto economico e speculativo, è cresciuto ben al di là della cerchia degli atleti professionisti ed è penetrato pesantemente nel mondo più vasto dei giovani sportivi e dei praticanti amatoriali. Ed è proprio questo secondo aspetto del problema che dovrebbe preoccupare di più e sul quale oggi non si interviene. Come CGIL riteniamo: 1) che si debba approvare immediatamente una legge quadro sul doping (Disegno di legge Calvi); 2) che si debba costituire altrettanto tempestivamente una autorità esterna, così come annunciato da Valter Veltroni; 3) che si chiamino a rispondere delle loro responsabilità istituzionali i dirigenti, che non possono dire di non sapere, perché erano stati debitamente informati e quindi depositari delle stesse informazioni che successivamente hanno mosso le indagini della magistratura; 4) che la magistratura prosegua speditamente nell’accertamento delle responsabilità civili e penali; 5) che si appronti una normativa efficace di funzionamento della medicina sportiva, in particolare sul territorio, che faccia perno sull’istituzione del libretto sanitario sportivo per tutti i praticanti professionisti, dilettanti e amatori; 6) che si metta mano ad una riforma generale del CONI e del sistema sportivo improntata a un forte riequilibrio di ruoli, poteri e risorse verso lo sport per tutti e a una maggiore democrazia e trasparenza. Sono temi e proposte su cui la CGIL terrà, nella seconda metà di ottobre, un convegno di approfondimento.

* Dipartimento Politiche di Cittadinanza ed Economia Sociale, CGIL