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La strada intrapresa da diversi gruppi di operatori negli ultimi anni, affrontando il lavoro di prevenzione e di riduzione dei rischi nei contesti di divertimento, li ha portati a cambiamenti significativi nel modo di tematizzare i fenomeni di consumo e le finalità di intervento. Basti pensare alla riconsiderazione del piacere legato ai consumi, alla presa d’atto che esiste un consumo non problematico e non solo dipendenza, all’attenzione alla “trasversalità” degli stili di vita che lega tra loro consumatori in contesti diversi. Tutto ciò ha motivato la sperimentazione di nuovi approcci e di servizi diversi da quelli tradizionali, ha ampliato le strategie degli interventi preventivi integrando e trasformando, in parte, la prospettiva della riduzione del danno. In un momento di incertezza politica come questo, è bene ricordare alcuni traguardi raggiunti e dati acquisiti:

• la capacità di raggiungere contesti di consumo prima trascurati o difficili da accostare, dalle discoteche ai rave party passando per i grandi festival e il frammentato mondo notturno (pub, discopub, feste private..), fino alle aggregazioni spontanee che, di giorno e di notte, animano (non senza problemi) le piazze delle nostre città;

• il riconoscimento delle dimensioni extralocali e del nomadismo che caratterizzano i flussi e le aggregazioni giovanili, con la conseguente necessità, da parte degli enti locali, di superare visioni meramente localistiche;

• il superamento di un’ottica centrata esclusivamente sulla dipendenza, sia rispetto alla comprensione dei fenomeni, sia rispetto alle priorità di intervento. Si è compreso, ad esempio, che per entrare in contatto con le persone in difficoltà a causa del loro consumo di sostanze, si deve tenere conto del contesto ambientale, della situazione specifica della persona, delle caratteristiche delle sostanze assunte e del tipo di mix sperimentato. Prioritario è diventato l’intervento sui rischi emergenti nel breve-medio termine (tra i quali i rischi legati agli incidenti stradali e sul lavoro), sui malesseri dopo l’assunzione e sulle crisi con conseguenze psichiche e, ora più di prima, sui problemi di natura legale;

• il rapporto e le collaborazioni con attori fondamentali all’interno dei contesti di loisir e il coinvolgimento diretto dei consumatori stessi. Attraversando la peer education si è arrivati a comprendere che gli utenti, una volta visti soltanto come possibili fruitori dell’azione sociale, possono divenire partner efficaci del reticolo operativo tanto quanto gli altri servizi presenti sul terreno di intervento. In questo senso, la partecipazione ad un rave, ad un free festival non viene più pensata soltanto come un’azione di diffusione di messaggi preventivi, ma come un’occasione di concertazione (con gli organizzatori e i partecipanti) per la realizzazione di un evento safe, dove la progettazione di una sicurezza possibile deve essere responsabilità di tutti i soggetti che promuovono, o che semplicemente partecipano, all’evento.
Tutto questo ha prodotto uno sviluppo inedito in termini di modelli e strumenti operativi per gli interventi outdoor, ma non sono mancate le esperienze che hanno tentato di creare un più ampio sistema di connessione tra i servizi “classici” e altri luoghi di risposta alle domande di aiuto. Tali esperienze possono rappresentare uno stimolo per aggiornare il sistema dei servizi, dotandolo di “basse soglie diffuse” in grado di realizzare una presa in carico precoce al di là dei tradizionali servizi specialistici (Sert, psichiatria, consultori). I modelli a cui ispirarsi sono vari, non certo numerosi, specialmente in Italia, ma sufficienti per individuare dei riferimenti da sviluppare: gli infoshop nati sulla scorta delle esperienze nordeuropee, i drop in specifici per consumi di tipo ricreazionale, situazioni di accoglienza rivolte ad utenze con bisogni particolari come i punkabbestia. Le caratteristiche che hanno in comune questi servizi sono: la soglia di accesso molto bassa, il lavoro in rete con gli altri servizi (di prevenzione, specialistici ecc.), l’informalità dell’approccio, la leggerezza organizzativa, ambientazioni e orari adeguati.
Per andare avanti, c’è bisogno di ampliare questo sistema di risposte che integrano il lavoro mobile delle unità di strada e si pongono in una posizione intermedia rispetto ai servizi istituzionali. Sarà utile attivare altri punti in grado di accogliere bisogni specifici di utenze identificabili e definite. Il caso del mondo del lavoro vale per tutti: l’esperienza e la ricerca indicano che una buona parte dei consumatori è costituita da lavoratori che rischiano di essere intercettati solo dalle unità mobili presenti negli eventi notturni. La grande diffusione della cocaina nei posti di lavoro pone nuove domande alle quali non è possibile rispondere senza l’attivazione di strutture intermedie, in grado di rispondere ai bisogni di chi ha una professione e, spesso, una famiglia.
Tutte queste esperienze si collocano in pieno all’interno di un trend comune a molti paesi europei, soprattutto quelli che hanno superato l’idea di un approccio ideologico al tema droghe, e tendono a creare un sistema di protezione ed un network di risposte ampio e fruibile per i consumatori. Tale approccio non deve essere trascurato soprattutto alla luce della nuova stagione politica: la difesa di questo panorama di esperienze e la sua implementazione rappresenta, infatti, una delle poche risposte che la policy community può offrire per contrastare la tendenza alla patologizzazione e all’emarginazione dei consumatori.