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Capitò a Sergio Segio a Torino quando fu invitato dalla locale Camera Penale a un convegno sul carcere e la sola sua possibile presenza provocò le reazioni indignate del procuratore Armando Spataro. Segio rinunciò all’intervento. È capitato ad Adriano Sofri a Roma, quando il suo invito alla convention per il Partito democratico ha sollevato le dure critiche di Olga D’Antona che ha messo in discussione il suo diritto di parola in una assemblea politica. E infine, in questa sequenza censoria, è accaduto che Susanna Ronconi, nonostante la sua consolidata esperienza sul tema, sia stata costretta a dimettersi dalla Consulta sulle tossicodipendenze del Ministero della solidarietà sociale. Tutto questo senza tener conto delle decine di volte in cui è stata negata la possibilità di tenere seminari in un’aula universitaria a Renato Curcio. Storie personali e processuali diverse. C’è chi ha finito di scontare la pena, chi ha visto la pena addirittura dichiarata estinta, chi è fuori per ragioni di salute. A volte a reagire sono i giudici, a volte i politici, a volte i parenti delle vittime. Sempre più spesso accade che i politici siano anche parenti delle vittime. È questo uno degli ultimi criteri di selezione della nostra classe dirigente. Il Papa si è recato domenica 23 marzo a Casal del Marmo e ha parlato di quanto sia utile la disciplina per correggere le devianze. Anche in questo si legge la sua differenza rispetto al cardinal Martini. Punizione, disciplina, correzione sono le parole chiave di una idea di giustizia che impedisce che la pena sia interpretata solo come una provvisoria restrizione della libertà di movimento. Sin dalla scorsa legislatura (primo firmatario Giuliano Pisapia) il gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera ha presentato – su iniziativa di Antigone – una proposta di legge diretta a togliere dal novero delle pene accessorie l’interdizione dai pubblici uffici. La risocializzazione di cui all’articolo 27 della Costituzione, se non contiene la possibilità di partecipazione democratica e politica, non è risocializzazione ma assistenza paternalistica. Non si vede perché agli ex detenuti (ma anche ai detenuti) debba essere tolto il diritto di voto. Oggi nelle carceri italiane ci sono 40 mila persone circa. Un terzo è composto da stranieri che comunque non voterebbe perché manca una legislazione che lo consenta. Gli altri due terzi – ossia circa 26 mila detenuti – sono persone che, se avessero votato alle ultime elezioni, sarebbero risultate essenziali per far vincere una delle due coalizioni. In questa legislatura la proposta di legge è stata ripresentata a febbraio 2007 da Daniele Farina, vice presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, proprio all’indomani delle vicende riguardanti la partecipazione di Sofri all’assise dei Ds. Si tratta di aspettare gli esiti dei lavori della commissione di riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia, nella speranza che le pene accessorie siano espunte dal codice penale che verrà e che le pene interdittive diventino pene principali non sommabili a quella carceraria.