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Una proposta di legge tesa a un’integrale depenalizzazione del consumo di droghe, nonché a rivitalizzare le politiche di riduzione del danno, era stata presentata il 28 aprile 2006, primo giorno del governo Prodi. Con primo firmatario Marco Boato, il testo è sottoscritto da deputati di tutto il centrosinistra. Si tratta di una traduzione concreta di quanto enunciato nel programma dell’Unione, per una volta con molta nettezza: la legge Fini-Giovanardi «deve essere abrogata» (pagg. 186-87 del programma elettorale). La proposta è dunque una necessaria risposta al vero e proprio colpo di mano con il quale, alla fine della scorsa legislatura, la destra approvò la normativa attualmente in vigore: infilata proditoriamente in un decreto sulle Olimpiadi invernali, ratificato attraverso la fiducia.
Lo scorso 27 novembre, alla Camera del Lavoro di Milano, i rappresentanti di associazioni, comunità terapeutiche, servizi pubblici, movimenti e sindacati aderenti al cartello “Dal penale al sociale” hanno illustrato antefatti, contenuti e ragioni della proposta Boato, presente lo stesso parlamentare, l’eurodeputato Vittorio Agnoletto e i magistrati Franco Maisto e Alessandro Margara, che alla stesura hanno collaborato.
In tutti gli interventi è risultato evidente il timore che il decreto con cui Livia Turco ha innalzato il quantitativo di principio attivo di cannabis detenibile per uso personale senza sanzioni penali costituisca, in verità, il segno delle difficoltà della maggioranza di governo e la mancanza di risoluzione ad andare oltre, dando attuazione al programma. Come spesso avviene, la realtà si è rivelata ancor peggio delle pessimistiche previsioni, con l’ordine del giorno approvato poco dopo in Commissione Sanità del Senato, su iniziativa della Ds Anna Serafini, che ha di fatto bocciato il pur timido decreto Turco.
Otto mesi sono passati da quel 28 aprile. A Milano, Franco Corleone ha ricordato come Berlusconi avesse invece prontamente messo sul tavolo il disegno di legge governativo, la Fini-Giovanardi poi approvata, già all’indomani delle elezioni vittoriose per il centrodestra, nell’aprile 2001. Un’invidiabile determinazione, che fa risaltare la negatività delle prudenze del governo Prodi, che in materia di diritti civili rischia di essere ostaggio delle posizioni più retrive, espresse da pezzi della Margherita e dell’Udeur, per arrivare a contagiare anche parti dei Ds.
Chissà se, stretti tra teo-dem e teo-con, ci si deciderà prima o poi a dare vita a una sin-coe, vale a dire una sinistra coerente e degna di questo nome, libertaria anziché liberista o postumamente stalinista. Perché si vada in questa direzione – è stata la conclusione dell’assise milanese – occorreranno però robuste sollecitazioni di associazioni e movimenti, arrivando a manifestare in piazza e a fare arrivare qualche costruttivo fischio alle orecchie del centrosinistra. Cominciamo a rimboccarci le maniche e a procurarci i fischietti.