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Se per il più celebre nevrotico del cinema contemporaneo Woody Allen non c’è niente di sbagliato in te che tu non possa curare con un po’ di prozac e una mazza da polo, per il Nida (National Institute on Drug Abuse), non esiste antidoto migliore ai veleni della dipendenza da cannabis del Rimonabant, un bloccante selettivo del recettore di tipo 1 dei cannabinoidi.
SR141716A non è la combinazione vincente della lotteria di fine anno, ma il nome scientifico del ritrovato sintetico che trova indicazione nel trattamento dell’obesità. La sua immissione nel mercato è prevista in Italia entro giugno 2007. Magari una mattina ci svegliamo e troviamo lo zio Sam, che ci chiede minaccioso: «Hai preso la tua pillola oggi?». Fortunatamente non siamo ancora a questo, anche se il recente incontro tra la Federazione dei servizi pubblici italiani per le dipendenze e i ricercatori del Nida, ci lascia più stupefatti che in preda a garrulo ottimismo.
Se Federserd scorgerà l’aurora di un nuovo giorno giudicando valido il protocollo di sperimentazione, il farmaco, pur ancora in attesa di validazione medico-scientifica e socio-sanitaria, sarà testato nei centri italiani, in prima battuta su una fascia di soggetti che sono in trattamento per la dipendenza da cocaina o eroina, e hanno allo stesso tempo, seri problemi con l’utilizzo di cannabinoidi.
Francamente al Rimonobant, necessario a giustificare un incremento di securizzazione della società ossessionata dalla sorveglianza normalizzatrice per esercitare un controllo comportamentale sull’individuo, preferiamo la pratica desiderante. Meglio questa della colonizzazione delle coscienze.  
Non crediamo a risoluzioni definitive di un uso-abuso problematico da sostanze psicoattive mediante l’utilizzo di ricette magiche per guarigioni miracolose attraverso il mito tecnologico del farmaco risolutore: ovvero la compressa sul nostro comodino. Ci preoccupano i dati che rimbalzano dai laboratori di ricerca del Nida alle pagine dei quotidiani. Abbiamo timore che possano fornire materiale al maggiore dei luoghi comuni con cui si tenta di patologizzare il piacere, mediante l’applicazione di  un modello di salute autoritario che punisce e reprime la libertà di cura. Ricordiamo i rischi di una autoprescrizione non sempre responsabile causata dal processo di ibridizzazione dell’atto terapeutico e dal decadere della cultura personalizzata del medico di base, mediatore tra il sintomo e il farmaco.
Warning! C’è una epidemia che si sta diffondendo! Trasforma la vita (bassissima) in profitti (altissimi). Propone società chiuse, intolleranti, proibizioniste, ossessionate dall’esigenza della sicurezza. La standardizzazione delle opinioni e la telerealtà panica: il virus non uccide ma elimina la vita dall’esistenza, intima lo sguardo. C’è un vaccino? Una società aperta, contraddittoria e conflittuale com’è una moltitudine di persone libere.