Tempo di lettura: 3 minuti

39.176 sono i detenuti nelle carceri al 30 novembre. Un numero insperato e insperabile solo qualche mese addietro. Nell’immediatezza dell’approvazione dell’indulto un appello alle camere a «un ripensamento dell’intero sistema sanzionatorio e della gestione delle pene» fu rivolto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la cerimonia di presentazione al Quirinale del nuovo Csm.
Il Capo dello Stato ribadì che «vanno finalmente affrontate in modo organico le cause remote e attuali della sofferenza del presente modello penale». E fra le cause remote e attuali vi è la legge sulle droghe, ossia la Jervolino-Vassalli poi trasformata in Fini-Giovanardi. Negli ultimi 15 anni il ritmo delle incarcerazioni dei tossicodipendenti è stato costante. Così come alto è stato il livello di repressione di chi fa uso di cannabinoidi. Il controllo sociale e penale dei consumatori di hashish e marijuana è passato sia attraverso il sistema delle vessazioni amministrative sia attraverso lo spettro dell’incarceramento. La percentuale di detenuti tossicodipendenti rispetto alla popolazione detenuta globale ha sempre oscillato intorno al 30%. Una percentuale che sale sino al 39% se si vanno a considerare i detenuti ristretti per violazione dell’ex articolo 73 del d.p.r. 309/90. Ciò significa che solo un 10% di coloro che stanno dentro per effetto della Jervolino-Vassalli, poi trasformatasi in Fini-Giovanardi, è costituito da spacciatori di professione, mentre tutti gli altri sono consumatori. Circa l’80% dei minori cosiddetti devianti ha avuto problemi con la giustizia per avere assunto cannabis. Una percentuale in crescita progressiva. I numeri sono testimonianza evidente che a causa dell’uso e consumo di hashish e marijuana centinaia e centinaia di ragazzini vanno a finire in galera, seppur per pochi giorni. La Fini-Giovanardi ha esasperato la questione delle droghe leggere, con eccessi di penalizzazione determinati soprattutto dalla unificazione delle tabelle. Il piccolo-medio consumatore di droghe leggere è stato normativamente equiparato allo spacciatore di droghe pesanti. Gli effetti, nelle loro devastanti conseguenze, non si sono ancora manifestati pienamente grazie all’approvazione del provvedimento di indulto. Non tarderanno, però, a dispiegarsi.
Ritornando alle parole del Presidente Napolitano, esse restano le più sagge in un panorama comunque desolante. A volerle prendere in seria considerazione vanno di fila riscritti: il codice penale, la legge sull’immigrazione e la legge sulle droghe. Non è sufficiente che tali leggi siano solo leggermente emendate sperando di non scontentare i teo-dem, i teo-con, i cultori delle cristoterapie e quelli che vorrebbero che il futuro partito democratico entri nell’internazionale democristiana. Il codice penale va riscritto. Va modificato l’apparato sanzionatorio. Vanno ridotte le pene per i reati contro il patrimonio, altrimenti i tossicodipendenti e gli immigrati che vanno a finire dentro si faranno lunghi anni di pena per crimini di lievissima portata. Va eliminato il reato surrettizio di clandestinità. Va abrogata la norma che persegue colui che non si allontana dal nostro paese in quanto privo del permesso di soggiorno. Va fatto subito. Vanno depenalizzate tutte le pratiche di consumo di droghe, vanno ripristinate pene diverse a seconda se si tratti di droghe leggere o pesanti, vanno ridotti i minimi e i massimi edittali. Il dibattito aperto dal decreto Turco, che ha raddoppiato la quantità di principio attivo di sostanze leggere, superata la quale scatta il mega-delitto, sembrerebbe che, seppur incolpevolmente, abbia ammazzato il dibattito sulla necessità di una nuova legge. Insieme ai teo-con e ai teo-dem si sono affiancati i benpensanti e i tattici. Dopo aver fatto un passo in avanti ne abbiamo fatti due indietro, quanto meno nel dibattito politico, molto più arretrato rispetto al dibattito pubblico e ai sentimenti diffusi nell’opinione pubblica. Nei giorni scorsi la regione Lazio, ripercorrendo una esperienza di democrazia discorsiva e di partecipazione sperimentata qua e là per il mondo dallo studioso di processi democratici Robert Fishkin, ha organizzato un sondaggio deliberativo. Un campione demoscopico di 150 persone rappresentativo del Lazio ha discusso di sanità e finanza con gli amministratori regionali. Molte opinioni sono cambiate, la gente era ben più informata e sensibile di quello che si pensava. Se facessimo oggi un deliberative poll sulla perseguibilità penale dei consumatori di droghe leggere e pesanti ne uscirebbe sicuramente un quadro opposto a quello tetro descritto da Giovanardi, Don Gelmini, Binetti, Serafini. Ecco una proposta per la Turco e per Ferrero: dimostrare che l’opinione pubblica, se informata correttamente, è contro la criminalizzazione di chi fa uso di droghe. Giuliano Amato, recentemente intervistato da Repubblica, ha sostenuto che i sondaggi deliberativi sono un laboratorio di democrazia. La questione droghe potrebbe essere un terreno di verifica. L’opinione pubblica, se consapevole, è più avanti della classe politica.