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Lo spinello è Male. Scordatevi le sacrosante ragioni sulle qualità benefiche, terapeutiche, della cannabis. La discussione non è più se fumare fa male alla salute. Il consumo di sostanze, senza distinzioni, è nel mirino dei tutori dell’etica. Contrastarlo fa parte dei valori per loro irrinunciabili. Zero tolleranza, dunque, da parte dello Stato. Dal momento che il solo baluardo per questa, come per altre questioni etiche, è la legge. I/le parlamentari, “eticamente sensibili”, non hanno certo l’illusione che i valori si affermano con la convinzione. Proibire e punire è il solo mezzo che conoscono. Guai a consentire il possesso di qualche grammo in più. Stato e società non possono dare ai giovani un messaggio di cedimento al Male. Meglio mandarli in galera. Meglio stigmatizzarli come spacciatori.
L’impennata etica sulle droghe (leggere!) è avvenuta in Commissione Sanità del Senato, con l’approvazione di una mozione che impegna la ministra Turco a riconsiderare il decreto che raddoppia la dose per il consumo. Un primo, moderato, passo per attuare il programma dell’Unione: abrogare la legge Fini-Giovanardi, innanzitutto invertendo rotta sulla penalizzazione. Politicamente grave è che la mozione sia stata votata dall’Ulivo, con l’unica eccezione del presidente Ignazio Marino che si è astenuto. È vero che questo voto non esprime le posizioni del gruppo. Anzi, ha suscitato molte ed esplicite reazioni di contrarietà, a partire dalla presidente Anna Finocchiaro. Ma è la prima volta che l’iniziativa congiunta di teo-dem e Casa della libertà riesce a imporsi, coinvolgendo l’Ulivo. Al prezzo di smentire la ministra e rompere per la prima volta l’Unione.
È evidente che la rilevanza di questo atto è non solo per il merito – ribadire la scelta del carcere  – ma per il pessimo segnale che ha dato sull’offensiva etica in politica e in Parlamento. Francamente trovo grottesco ed avvilente che per un provvedimento di semplice buon senso, come questo, si siano chiamati in causa i valori. Se basta così poco a far sentire minacciata una cultura etica, vuol dire che i valori branditi sono “caciocavalli appisi”, per dirlo con Benedetto Croce. La verità è che, nonostante grida e vessilli, l’etica propugnata è sempre meno radicata nelle esperienze e nelle scelte di vita.
Si cerca di compensare questa perdita di radicamento, dettando legge, conquistando posizioni nelle istituzioni. Questo spiega perché si è inasprita l’offensiva della Chiesa cattolica, la quale, da parte sua, non ha mai rinunciato ad avvalersi del potere, anche statale. Ed oggi ne ha più bisogno di ieri. Ma la perdita di radicamento sociale spiega anche la maggiore permeabilità della politica a questa offensiva.
Certo, dietro quanto è avvenuto in Senato, più in generale, dietro l’appannarsi della distinzione tra etica e politica, vi sono motivi prosaici e strumentali. Non sottovaluto affatto le ragioni più interne alle tattiche e strategie politiche: competizione sul Partito democratico, trasversalismi per rifare il Centro, legami di interessi con le gerarchie ecclesiastiche, ricerca di consensi elettorali.
Ma il vero bersaglio è l’autonomia dei singoli e delle singole. Cosa altro hanno in comune, infatti, il consumo di sostanze, le convivenze eterosessuali ed omosessuali, le scelte procreative e quelle sulla fine della vita?
Come mai non sono oggetto di campagne etiche, la tortura, l’ergastolo, le morti sul lavoro, l’impiego industriale di sostanze nocive, il commercio di armi? Perchè la minaccia è l’autonomia soggettiva. Se Chiesa e Stato perdono la presa su ciascuno di noi, la perdono erga omnes. Per questo pongono divieti. E per farli accettare si appellano paternalisticamente ai valori.
Se questa è la sfida temo sia insufficiente a contrastarla la rivendicazione di specifici diritti. Restando ancorati e circoscritti al proprio ambito: chi delle tossicodipendenze, chi delle unioni di fatto, e così via. Non basta neppure trarne il comune denominatore del diritto all’autodeterminazione. Se ognuno/a si preoccupa di affermare il proprio e poco o nulla si sente coinvolto/a da quello altrui. Il catalogo dei diritti si è allungato, ma i soggetti ed i movimenti sono più divisi e “corporativi”. E ognuno di questi rischia di non farcela, senza mettere in comune con gli altri una diversa forma di convivenza.