«L’ordinanza del tribunale di Perugia è clamorosa e ci restituisce fiducia nella giustizia. Il Tribunale ha indicato chiaramente al pm cosa avrebbe dovuto essere fatto. Il caso Bianzino è tutt’altro che chiuso». Rudra ed Elia, due dei tre figli del pacifico ebanista ucciso dal carcere e dal proibizionismo nell’ottobre del 2007, ricominciano a sperare che non sia troppo tardi. Forse. Stamattina il pm di Perugia, lo stesso che fece arrestare Bianzino e sua moglie Roberta Radici per il possesso di alcune piante di marijuana, ha detto no a una superperizia e all’integrazione dei capi d’accusa: «nulla è cambiato da quelle che erano le iniziali contestazioni: se avessi ritenuto di cambiare l’imputazione, lo avrei fatto». E anche l’ordinanza del tribunale, a una lettura sbrigativa, sembra dire altrettanti no alle richieste dei legali della famiglia Bianzino: no a un’ulteriore perizia perché quella può chiederla solo il pm, titolare dell’indagine, no all’acquisizione dei tabulati telefonici di quella notte e dei video delle telecamere interne.
Ad alimentare la speranza di Rudra ed Elia sono quelle parti dell’ordinanza, di due pagine, in cui si dice chiaramente che «rimangono profili di incertezza a proposito dell’origine dell’emorragia» che uccise l’uomo trovato mezzo nudo dal 118 nel corridoio del carcere, le altre celle isolate con delle lenzuola. Questo perché il professor Fineschi, per conto della famiglia di Aldo, ha posto dei dubbi fondamentali sulle conclusioni dei periti delle altre parti: che Bianzino poteva essere salvato, che l’aneurisma, se scoppia lo vedi. Dunque l’emorragia potrebbe avere un’origine traumatica, da manovre violente, eseguite ad arte per non lasciare tracce. Purtroppo «la sede di elezione per discutere delle cause della morte», ricorda l’ordinanza, non è questa. Il processo, infatti, è quello contro la guardia carceraria di turno nell’unica notte in cui il falegname di 44 anni fu ospite della casa circondariale perugina. Omissione di soccorso e falsificazione di atti d’ufficio. Le botte no. Quelle sono già una faccenda archiviata sebbene il comitato Verità per Aldo, sebbene escluso dalle parti civili, continui a porre pubblicamente con la domanda «Com’è morto Aldo?». Dunque, nonostante l’ostinazione del pm, il tribunale non riesce ad escludere l’ipotesi traumatica. All’arrivo del 118, al mattino del 14 ottobre, Bianzino era già morto da un po’, stando alle tumefazioni sulle mucose e sulle orecchie. Iprimi medici parlarono di lesioni a fegato e milza, due costole rotte e pensarono proprio a botte distribuite “scientificamente”. I testimoni, altri detenuti subito seminati in altri istituti, diranno – e anche l’ultimo ascoltato stamattina – di aver sentito Bianzino chiedere aiuto, circostanza che l’agente nega. Le perizie successive, negli anni, ribalteranno quei pareri arroccandosi sull’ipotesi di un aneurisma mai realmente riscontrato. Però Bianzino era entrato in galera in perfetta salute. Se è vero che solo il pubblico ministero può cambiare parere sulla superperizia, la corte però, richiamando l’articolo 521 del codice di procedura penale, s’è riservata di verificare la correlazione tra il fatto contestato e il fatto emerso in dibattimento. Ossia s’è riservata esplicitamente la possibilità di non emettere sentenza qualora il capo di imputazione sia troppo striminzito. Riaprendo, di fatto, il caso. Appuntamento a mercoledì per questa discussione. Come sempre ci saranno i legali ferraresi Fabio Anselmo e Alessandra Pisa che hanno seguito anche i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva e Ferrulli i cui parenti presenziano ogni udienza perugina in solidarietà con i Bianzino.
«Ora ci attendiamo che il pm ne prenda finalmente atto fino a che non sia troppo tardi – dicono ancora Rudra ed Elia – altrimenti avremo fatto tutto questo percorso processuale faticoso e costoso durato oltre un anno per nulla. L’ordinanza riconosce la giustezza dei nostri dubbi sul fatto che nostro padre potesse essere salvato e anche sulla possibile origine traumatica sull’emorragia che lo ha ucciso.Facciamo questo in memoria di questo padre, consegnato allo Stato vivo ed in perfette condizioni di salute e restituitoci dallo Stato morto».