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Ė inequivocabile quanto stabilito dai giudici della Corte d’Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui hanno condannato lo scorso 24 ottobre a 14 anni di carcere Abdulaziz Rajab, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte della 21enne Maddalena Urbani deceduta a causa di un mix di droghe e farmaci – per alcuni giornali, esclusivamente metadone, per altri eroina – il 27 marzo 2021 a Roma, dopo 15 ore di agonia.

Un dottore della Legge disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.»

In casa di Abdulaziz Rajab e alla presenza di Kaoula El Haouzi, amica della vittima, «preferirono non chiamare i soccorsi, nonostante l’esatta consapevolezza della gravità della situazione, dimostrata dalla necessità di intervenire più volte quella notte sulla ragazza con manovre di tipo rianimatorio”. Rajab, in particolare, agì “per motivi inaccettabili, esclusivamente egoistici.»

Secondo i giudici, il padrone di casa voleva «assolutamente evitare un intervento dei sanitari del 118 per scongiurare che si venisse a conoscenza del fatto che aveva ricevuto due ragazze in casa (…) contravvenendo in questo modo alla misura dei domiciliari.» E, stando a quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, l’uomo si comportò «aderendo alla elevata possibilità che Maddalena morisse, evento che si è esattamente rappresentato e al quale ha aderito, pur non essendo il fine principale del suo agire.»

In merito all’amica – mai termine fu più improprio – El Haouzi, i giudici hanno precisato che anche su di lei «gravava l’obbligo di attivarsi e far intervenire gli operatori sanitari, considerate le allarmanti condizioni» di Maddalena. Anche lei «ha fatto di tutto per sminuire la precisa consapevolezza della gravità della situazione e il suo evidente coinvolgimento nella vicenda», mentendo a più riprese anche in sede processuale.

«Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.»

Se soccorsa per tempo dagli stessi conoscenti/amici o dagli operatori del 118, Maddalena Urbani con buona probabilità non sarebbe morta la sera tra il 26 e il 27 marzo 2021.

Overdose, metadone, figlia di un noto medico, spacciatore, origini siriane, arresti domiciliari queste le parole chiave che Google Trends ci restituirebbe a proposito della notizia del 12 gennaio 2023.

A ben guardare, molti di questi vocaboli risultano inutili rispetto a ciò che questo stesso dramma potrebbe aiutare a porre all’attenzione del lettore e dei decisori.

La semplificazione spinta sino alla banalizzazione sottrae valore alla morte e più ancora alla vita della donna consumatrice di sostanze.

Che differenza avrebbe fatto se Maddalena non fosse stata figlia di colui che per primo isolò la Sars, morendo per quegli stessi studi nel 2003?

Sarebbe stata meno drammatica ed inaccettabile la vita della figlia di un agente di commercio o di un moderatore di assemblee di condominio?

Forse le è solo stata garantita una chiave di lettura meno colpevolizzante e morbosa da parte dell’opinione pubblica e dei media ma anche, chissà, una maggiore trepidazione in chi, standole accanto in quei frangenti, doveva decidere cosa fare (o non fare).

Ė morta di overdose Maddalena o di indifferenza? Ha perso la vita per la sola disumanità di chi le stava accanto o anche perché quella disumanità è istigata dall’inedia e dalla pigrizia – opportunistica e ideologica – di una politica che non vuole assumersi l’onere e la responsabilità di tornare a parlare di droghe fuori da preconcetti?

Una persona che chiama i soccorsi, assistendo ad un’overdose, si ritrova oggi nella condizione di dover fornire delle spiegazioni all’Autorità Giudiziaria, rientrando nelle indagini orientate a individuare chi ha venduto o ceduto la sostanza. Ė evidente che qualsiasi conseguenza comunque meriterebbe il mettere in salvo una vita umana ma contestualizzando, chi si dovesse trovare in quelle circostanze, con buona probabilità, anche solo per meccanismi di paura proprio rispetto alla circostanza, non penserebbe al rischio di morte ma per opportunistica autotutela sarebbe più facile che si allontanerebbe dalla situazione, chiedendo l’intervento dei soccorsi con reticenza o più ancora con ritardo.

Per la legge penale italiana, in presenza di uno “stato di grave necessità” esiste l’obbligo di prestare assistenza alle persone in difficoltà, chiunque esse siano. L’overdose rientra a pieno titolo nella fattispecie di legge il cui contrario è l’omissione di soccorso.

In molte realtà europee e in alcuni stati degli USA, chiamare i numeri dedicati per il pronto intervento o applicare pratiche solidali non comporta alcun coinvolgimento in prima persona nelle indagini.

Questa tutela è conosciuta come Legge del Buon Samaritano. Sarebbe, dunque, il caso di riproporre all’attenzione del Parlamento – diverse associazioni come ITARDD, ossia la Rete Italiana per la Riduzione del Danno e ITANPUD, Italian Network People Use Drugs/Rete Italiana delle Persone che Usano Sostanze hanno presentato negli anni passati proposte in tal senso – una disposizione in grado di ricalcare quanto già applicato altrove.

«Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.»

Inoltre, in molte di queste realtà così come in Italia si può intervenire direttamente qualora dotati di un farmaco da banco come il naloxone, acquistabile in farmacia. Il nostro Paese è stato il primo a renderlo tale e, dunque, senza necessità di ricetta medica. Inoltre, i servizi di Riduzione del Danno (RdD) – servizi contemplati nei Livelli Essenziali di Assistenza ma mai sufficientemente finanziati, quando finanziati – lo distribuiscono gratuitamente alle persone che utilizzano sostanze.

I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive (Centers for Disease Control and Prevention, CDC) per i quali l’80% dei decessi per overdose avviene in casa, consigliano se si conoscono persone a rischio di overdose da oppioidi o che usa cocaina e/o metamfetamine, di avere almeno due dosi di Naloxone pronte all’uso. Non è necessario essere personale sanitario per somministrarlo. In una brochure distribuita nella città di New York si legge: «Naloxone è un farmaco facile da somministrare, generalmente tramite uno spruzzo nel naso, che contrasta gli effetti di un’overdose da oppioidi, che includono eroina, fentanyl, ossicodone e codeina. Se somministrato in tempo, Naloxone contrasta gli effetti del sovradosaggio di queste sostanze ripristinando la respirazione» (fonte: https://www.health.ny.gov/publications/19830.pdf)

Dai magistrati che hanno seguito il caso Urbani sono state riconosciute le attenuanti generiche a Rajab, per le «disagiate condizioni di vita, di estrema precarietà ed emarginazione e dell’atteggiamento parzialmente collaborativo”, a El Haouzi gli stessi le hanno negate «in considerazione dell’atteggiamento processuale, improntato unicamente e pervicacemente al mendacio e privo della benché minima resipiscenza.»

Mente la consumatrice – già la donna mente per statuto socio-culturale condiviso -, si sottrae al ruolo e alle aspettative sociali di generatrice e custode della vita, se l’è andata a cercare… nella piena aderenza tutta mainstream all’associazione donna/accoglienza e accudimento, l’uso di droga è visto come una condizione incompatibile, determinando uno stigma ancora più forte che per l’uomo consumatore. La colpevolizzazione è diffusa nel racconto collettivo, facilitato dai tempi stretti di un’informazione che rifiuta il carsismo necessario alla comprensione reale, determinando la persistenza di stereotipi di genere gravemente lesivi della dignità delle donne e del loro diritto alla vita, alla sicurezza, a ricevere aiuti adeguati.

L’uso di sostanza resta incasellata da decenni in Italia nella visione criminogena (l’uomo delinquente, la donna, promiscua e peccatrice…) mentre bisognerebbe non trascurare anche e soprattutto quella vittimogena.

Una Legge del Buon Samaritano potrebbe essere un buon passo in avanti e praticamente senza costi.

«Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».»
(dal Vangelo secondo Luca, 10, 25-37)

Il prossimo!

Chiunque esso sia, un prossimo – per avvedutezza o purtroppo – ci sarà.