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Durante il tradizionale discorso di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è rivolto, per alcuni secondi, direttamente ai giovani, sul tema delle morti sulle strade a causa degli incidenti. Il Presidente ha richiamato i giovani conducenti a guidare con prudenza, facendo riferimento all’eccesso di velocità, alla guida disattenta ed alla guida in stato di alterazione da consumo di alcol e sostanze stupefacenti. Questo passaggio del discorso è stato subito strumentalizzato con dichiarazioni proibizioniste e criminalizzanti dai soliti noti protagonisti della demagogia sul tema delle droghe, stravolgendo l’appello alla responsabilità individuale e a non sottovalutare i rischi del traffico veicolare espresso dalla prima carica dello Stato.

Sappiamo che nel 2021 gli incidenti stradali hanno provocato in Italia 2875 morti, vittime di tutte le età tra conducenti, passeggeri, pedoni; sappiamo anche  che i giovani fra i 15 e 24 anni che hanno perso la vita sono stati 365 tra i quali 245 conducenti, 97 passeggeri, 23 pedoni (fonte Istat); ma è anche certificato dai dati ufficiali, che gli incidenti in cui sono si sono rilevate sostanze stupefacenti rappresentano una percentuale molto bassa rispetto  agli oltre 151.000 sinistri annui. Come già ricordato in queste pagine (Il Manifesto, 25 ottobre 2022) i dati disponibili del 2021 parlano di percentuali che vanno dall’1,4 al 3,4% di conducenti coinvolti in incidenti stradali positivi ai test “antidroga” (che non coincide automaticamente con la guida in stato alterato); l’1,44% negli incidenti con lesioni per la Polizia Stradale, e l’1,7% negli incidenti mortali rilevati dai Carabinieri. La tragedia delle morti nelle strade è quindi non risolvibile a partire da questo fenomeno, ed ogni strumentalizzazione sembra un modo per evitare di affrontare in maniera seria ed efficace la questione. Nella ridda di dichiarazioni che si appellano come un noioso ritornello a pene più severe per chi fa uso di droghe e controlli più serrati ed invasivi a carico dei “giovani” (mai categoria fu più bistrattata negli ultimi due anni: prima untori, poi fannulloni, e poi ancora eroi incaricati di salvare il mondo malato, ed infine vandali e criminali – basti anche solo pensare al dibattito sui rave), colpisce per volgarità intellettuale il nuovo spot prodotto dal Dipartimento Politiche Antidroga.

Pubblicato nella settimana natalizia lo spot si intitola “Non farlo” e fa parte della campagna “Chiediti perché”; slogan e ambientazione sembrano riportarci indietro di oltre 30 anni al periodo d’oro dei fallimentari spot “antidroga”. Ma il sospetto che si tratti di un prodotto di populistica mistificazione del tema pare confermato dall’uso del testo in sovraimpressione che infila in una successione illogica dati fra loro eterogenei, fino a far sospettare all’ignaro spettatore che oltre il 90% degli incidenti siano causati da uso di alcol e droghe, e che questo sia la causa primaria delle morti sulle strade, in primis quelle dei giovani. Anzi con una iperbole linguistica ad effetto, nello spot sono le “droghe” stesse che guidano i veicoli verso lo schianto sicuro, personificazione delle sostanze che ancora di più segna la continuità con il famoso terrificante spot della Pubblicità Progresso “Chi ti droga, ti spegne” del 1989. Viene da chiedersi se questa scelta di comunicazione del Dpa con una nuova direzione allineata alla visione del Governo, sia la cifra di quello che ci aspetta nei prossimi anni; un salto nel passato remoto a discapito del faticoso tentativo di aprire un confronto franco su alcuni aspetti del tema a partire dai risultati della Conferenza Nazionale sulle dipendenze del 2021. Un segnale di modernità sarebbe piuttosto quello di trasformare il dipartimento in una agorà sulle politiche in materia di sostanze stupefacenti, promuovendo un confronto a partire da quello che si muove nel mondo.