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Hannah Arendt notò parecchio tempo fa che il guaio del riduzionismo – cioè l’uso di spiegazioni arbitrariamente semplificate per fenomeni complessi – non è tanto che è falso, ma che può diventare vero: cioè che da parte di molta gente opportunatamente manipolata, esso venga accettato come verità, così diventando un potente strumento di interiorizzazione del controllo.

Il moderno bioriduzionismo, quello che dà spiegazioni meramente biologiche dei comportamenti normali e patologici e dei fenomeni sociali – e questo, in termini sia di storia remota (l’evoluzione delle specie) che di meccanismi prossimali (fisiologici, biochimici, molecolari) – ha illustri precedenti tra i filosofi dell’antichità, nell’animale-macchina di Cartesio, nelle opere del medico illuminista de La Mettrie, soprattutto L’homme machine del 1747 (perseguitato per le sue idee, anche lui fu accolto a braccia aperte, come Voltaire, da Federico di Prussia). Ma la spinta più potente è venuta dal positivismo ottocentesco in funzione antimetafisica, cioè mirata a demolire le già traballanti roccaforti dogmatiche tradizionali, religiose e non. Pertanto il positivismo e il riduzionismo di quel periodo, oggi definiti “volgari”, furono spesso abbracciati anche da ferventi socialisti (l’esempio nostrano più noto è quello di Cesare Lombroso)

I modelli bioriduzionisti di successive mandate, volta per volta rappezzati per rimediare alle ripetute smentite, hanno sempre più occupato il campo della droga. Essi tendono in primo luogo a dimostrare che l’uso di sostanze è il prodotto esclusivo, o quasi, di un anomalo funzionamento del cervello ammalato, per cause genetiche o altre. Ciò da un lato consente di scontare il ruolo di un’ampia gamma di fattori non biologici di primaria importanza, quindi di favorire le scelte proibizioniste (e in conseguenza anche quegli inciuci tra economia criminale, economia legale e corpi separati della repressione, grazie ai quali si governano offerta, domanda e prezzi delle sostanze lecite e illecite e si spartiscono i relativi profitti, economici e non); dall’altro legittima il ricatto “o ti curi – ovviamente la spinta è verso ‘cure’ di stampo punitivo e simil-coatte – o vai in galera in quanto pericoloso per te e per altri”. A sostegno di tali indirizzi, le politiche di finanziamento della ricerca privilegiano gli studi neurobiologici sulle disfunzioni che portano a drogarsi; quelli che debbono dimostrare che la droga è un “bruciacervelli” (il che per i consumatori che adottano modelli d’uso intensivi e incontrollati può essere vero, ma non lo è per la stragrande maggioranza dei consumatori moderati e controllati); infine quelli mirati alla messa a punto di rimedi medici (farmaci, vaccini, …): il tutto, naturalmente, a danno degli studi sugli aspetti psicosociali e antropologici, sull’ evoluzione delle modalità di consumo, sulle ricadute di norme assurde e nocive, come quelle delle convenzioni ONU esasperate nella nostra Fini-Giovanardi.

Una precisazione. La moderna ricerca neurobiologica ha certamente fornito informazioni di primaria importanza: sui meccanismi che si attivano in funzione di esperienze gratificanti, farmacologiche e non (vi sono infatti notevoli analogie tra i cambiamenti prodotti da droghe lecite e illecite, da prodotti dolci – e non solo quelli che contengono sostanze psicotrope, come il cioccolato -, dall’attività sessuale); sui meccanismi della tolleranza e dipendenza (ma è la nicotina, non l’eroina o qualsiasi altra droga illecita, la sostanza col più alto potenziale di induzione di dipendenza); sui diversi mix di affinità recettoriali di prodotti anche di uno stesso gruppo, come gli oppiacei, e sulle relative differenze di profilo farmacologico (notevoli sono le differenze qualitative tra eroina e morfina; e in Gran Bretagna la prima è ormai terapia d’elezione in alcune condizioni, come il dolore post-operatorio); sulla natura dei danni prodotti dai vari tipi di consumi a rischio e così via. Ma passivamente si accetta che di un tale patrimonio venga fatta carne di porco, anziché utilizzarlo correttamente, insieme alle altre fonti di informazione oggi sabotate, per una gestione razionale e umana dei problemi della droga.

(Dossier “droga e scienza” su www.fuoriluogo.it)