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Il Presidente Biden ha appena mantenuto una delle promesse fatte nella campagna elettorale del 2020: graziare tutti i detenuti già incarcerati per il solo possesso di cannabis a livello federale. La decisione interessa circa 6.500 cittadini che tra il 1992 e 2021 erano stati condannati perché trovati con piccole quantità di cannabis, e la cui fedina penale verrà così azzerata. “Mandare la gente in galera per possesso di marijuana ha rovinato troppe vite – per un comportamento che è già legale in molti Stati. E ciò ancor prima di considerare le ovvie disparità razziali alla base di queste accuse e condanne. Oggi iniziamo a correggere questi errori” – così ha spiegato il Presidente USA.

Si tratta del primo elemento di una più ampia manovra tesa alla riforma delle attuali norme proibizioniste, lungamente attesa dai molti che oggi ripetono alla CNN: “questo è il motivo per cui lo abbiamo votato” e dalle decine di migliaia di utenti che commentano positivamente in calce agli spazi social ufficiali della Casa Bianca. D’altronde sono ormai 19 gli Stati (sul totale di 50) in cui la marijuana è regolamentata a scopo ricreativo, ulteriori 5 decideranno con un referendum a novembre. Altri 37 consentono l’uso terapeutico e gli ultimi sondaggi confermano che il 60% dei cittadini appoggia forme di regolamentazione a livello federale.

Forte di questi dati, Biden ha anche invitato esplicitamente i governatori statali ad imitarlo: “Così come nessuno dovrebbe stare in un carcere federale per il solo possesso di marijuana, lo stesso vale per le carceri locali o statali”. E, passo forse più importante, ha incaricato il ministro della sanità, Xavier Becerra, e il procuratore generale, Merrick Garland, ad “avviare il processo amministrativo per rivedere la tabellizzazione della cannabis nella normativa federale”. Sembra insomma giunta l’ora di concretizzare sull’intero territorio nazionale l’iter normativo verso la depenalizzazione prima e la regolamentazione subito dopo, iniziato nel novembre 2019. Grazie alla maggioranza dei Democratici alla Camera, allora ci fu il primo passaggio del MORE Act (Marijuana Opportunity Reinvestment and Expungement), poi riconfermato lo scorso aprile con un voto di 220 favorevoli e 204 contrari. La prima e fondamentale clausola resta proprio quella di rimuovere la cannabis dalla Tabella I delle sostanze illecite a livello federale, oltre all’azzeramento delle passate sentenze per reati personali legati alla sola cannabis. Tuttavia il disegno di legge non è mai arrivato nell’aula del Senato, e nonostante gli aperti solleciti da varie fonti (incluso quello del collega e capogruppo, Chuck Schumer), finora Biden aveva fatto orecchie da mercante.

Come mai l’annuncio arriva proprio adesso, allora? Più di qualcuno giura che anche stavolta c’entrano le elezioni: a 4 settimane dal voto di midterm, bisogna spingere alle urne soprattutto giovani e minoranze, onde evitare una nuova maggioranza repubblicana in entrambi i rami del Congresso. Non a caso l’attuale campagna elettorale di diversi candidati democratici fa leva, insieme alla riaffermazione del diritto d’aborto dopo il recente annullamento della storica sentenza Roe v.Wade da parte della Corte Suprema, sull’urgenza di normalizzare la cannabis rispetto alle strettoie conservative e finanche reazionarie proposte dal Partito Repubblicano. Lo chiedono a gran voce non solo tanti attivisti, consumatori e politici ma anche i vari imprenditori del settore, il cui fatturato potenziale arriva a 25 miliardi dollari l’anno e dà già impiego a oltre 428.000 persone. E le azioni di aziende quotate a Wall Street hanno registrato un +20% subito dopo l’annuncio presidenziale. Comunque sarà la composizione del nuovo Congresso tra un mese a essere determinante, anche se stavolta sembra impossibile mettere nel cassetto la riforma federale sulla marijuana.