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È possibile controllare il proprio consumo di droghe? È legittimo aiutare i tossicodipendenti a imparare ad autoregolarsi?

Per una medicina convinta che l’unico aiuto possibile sia quello di costringerli all’astinenza, queste domande suoneranno come una pericolosa provocazione. Eppure leggendo Droghe e autoregolazione, note per consumatori e operatori (Ediesse, 2017) a cura di Grazia Zuffa e di Susanna Ronconi, dobbiamo riconoscere che accompagnare il tossicodipendente nei suoi tentativi di autoregolazione è spesso l’unico approccio possibile per aiutarlo, senza provocare un deterioramento delle sue condizioni psicofisiche.

I contributi qui raccolti sono il frutto di un lavoro di ricerca sul terreno, durato oltre otto anni, nel campo della riduzione dei danni all’interno di un progetto europeo denominato “Nuovi approcci alle politiche e agli interventi sulle droghe” (NADPI).

Confortati da ricerche successive, Zuffa e Ronconi propongono di estendere questo indirizzo a tutti i contesti della Riduzione del Danno ma anche ai servizi per le tossicodipendenze (SerD).

Da questo importante lavoro possiamo trarre due conclusioni:
-Solo un approccio centrato sulla persona e improntato al rispetto e al riconoscimento reciproco può essere efficace.
-L’astinenza non è l’obiettivo unico del trattamento. Un consumo più autoregolato non porta a un aggravamento progressivo ed inesorabile delle condizioni del consumatore ma, spesso, ad un miglioramento significativo della sua condizione di dipendenza. Ne deriva che il modello della tossicodipendenza come malattia cronica recidivante con le relative alterazioni delle funzioni cerebrali deve essere rivisto. Non lo suggeriscono solamente le testimonianze e le riflessioni raccolte in questo libro, ma anche le neuroscienze.

In effetti, le droghe non alterano il cervello ma modificano le sensazioni e/o la percezione delle esperienze per renderle tanto più gratificanti se la quotidianità è avara di soddisfazioni e vissuta con un senso di disagio. L’organismo tende a ripetere le esperienze più gratificanti a scapito di altre e cosi facendo modella il cervello attraverso una modifica delle conducibilità delle sue sinapsi, sì da ripetere quelle esperienze in modo da ricavarne maggiori soddisfazioni. Questo principio non è alla base solamente della dipendenza da droghe o di abitudini come il gioco, ma di ogni forma di apprendimento nella vita quotidiana. A guidare i nostri comportamenti non sono delle organizzazioni metafisiche o delle strutture cerebrali particolari che, peraltro non riusciamo a definire e ancora meno a localizzare e a spiegarne il funzionamento. D’altronde il cervello è composto di neuroni e i neuroni non analizzano, non riflettono e non elaborano. Sono gli effetti delle esperienze a guidare l’organismo, ma non un organismo centrato su sé stesso bensì continuamente aperto all’ambiente che lo circonda. Ripetendo le esperienze più gratificanti, l’organismo sviluppa le capacità di cui ha bisogno per adattarsi alla sua storia e al contesto in cui vive.

La dipendenza è la condizione in cui si trova una persona, la quale per carenza di alternative gratificanti si auto-condanna a vivere e apprezzare solamente esperienze legate alle droghe. In queste condizioni la cura della dipendenza non sta tanto nel l’allontanamento dalle droghe, quanto nella possibilità di vivere esperienze gratificanti alternative. La proibizione che stigmatizza, punisce ed emargina priva il tossicodipendente della possibilità di vivere le esperienze alternative di cui ha bisogno. E l’autoregolazione non è una irresponsabile complicità a coltivare un vizio, ma un approccio rispettoso ed attento per accompagnare il tossicodipendente a riacquisire le capacità perse.