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L’Associated Press aggiorna al 13 maggio i dati su costi e danni della guerra alle droghe e  analizza le  prospettive dopo un anno di governo Obama. Il totale speso dagli US dall’inizio di questa guerra ha raggiunto i mille miliardi di $ (e si tratta di costi diretti: chi potrà mai calcolare quelli indiretti?);  i morti che tale guerra ha provocato, incalcolabili, sono oramai dell’ordine delle centinaia di migliaia (solo a Ciudad Juarez, la città messicana a specchio della texana El Paso oltre il Rio Grande, sono state assassinate 2.600 persone in un anno). Obama e il suo drug czar Kerlikowski affermano che tutto ciò deve finire, che si deve passare a considerare le droghe come un problema di salute pubblica, privilegiando le iniziative di educazione, prevenzione, assistenza e cura. Ma avvertono anche: “Nulla accade dalla sera alla mattina”; insomma, “avanti adagio, quasi indietro”, come diceva una nostra antica conoscenza parodiando  il celebre Adelante ecc. del manzoniano Vicario al suo cocchiere. Infatti dall’ultimo bilancio (2010) della guerra alla droga  ($ 15,1 miliardi) si passerà nel 2011 a 15,5 miliardi, di cui ben due terzi per attività di repressione.
Ma il clima sta significativamente cambiando, anche se a “pelle di leopardo”. In California, per esempio – v. l’Espresso n. 20 del 14.05 maggio, datato 20.05, p. 141 – la cannabis è in gran parte già legalizzata di fatto, anche al di là di quella venduta dietro ricetta medica; anche prima del referendum del prossimo novembre. Tanto che lo stato già ha riscosso nell’ultimo anno circa $ 1,5 miliardi di imposte sulla sua produzione e commercio; tanto che un numero sempre crescente di produttori e distributori  usa sui siti nomi e indirizzi veri e non più fittizi. E mentre sino a ieri per un politico, o per qualsiasi soggetto con una carica pubblica, una presa di posizione a favore della legalizzazione equivaleva a un suicidio, ora sono ben 13.000 i magistrati, gli avvocati, gli agenti di polizia (penitenziaria e non), ecc., i quali aderiscono all’associazione che si batte per la legalizzazione/regolamentazione di tutte  le droghe.
Gli esiti dello scontro restano tuttavia più che incerti, dati i clamorosi successi della controffensiva della Vandea repubblicana, spesso sostenuta direttamente o indirettamente dai non pochi “democratici per tutte le stagioni”, comprati a peso d’oro dalle lobbies farmaceutiche, assicurative e altre: successi in campo legislativo (sgretolamento della riforma sanitaria, ostacoli a una regolamentazione anche solo minimamente efficace della finanza d’assalto); successi   d’opinione pubblica (tea parties e altre amenità); quindi successi negli assaggi elettorali in vista delle mid-term di fine anno. Le droghe non sono l’ultimo degli oggetti del contendere: infatti Walters,  già drug czar di Bush, seguita a vantarsi in pubblico dei successi della guerra alle droghe (v. dettagli nel testo originale).
Insomma, come affermò Winston Churchill in un momento critico della seconda guerra mondiale –  dopo El Alamein, Stalingrado e le prime grandi sconfitte giapponesi, ma con ancora davanti due mostri di potenza bellica –  “non siamo alla fine, e neanche al principio della fine. Siamo, forse, alla fine del principio”. (Giorgio Bignami)

Vai all’articolo dell’Associated Press (in lingua inglese, via Notiziario Aduc).