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Tutto tranne che un bell’uomo. Solo su un punto il presidente americano George W. Bush non era soddisfatto del suo portavoce Scott McClellan, per oltre dieci anni e fino all’aprile del 2006 uno dei suoi delfini piú fedeli. In un summit del Nafta, a Monterey, Bush ebbe un colloquio con il portavoce del primo ministro canadese, Scott Reid, e lo stupí con un commento insolito. “Hai una bella faccia – disse il presidente americano – sei decisamente un bell’uomo. Senz’altro sei piú bello del mio Scott”.

Ma sul conto di McClellan il presidente potrebbe presto cambiare idea. In un libro l’ex portavoce, insider tra gli insider, rivela dettagli e retroscena che dipingono un ritratto inclemente di Bush e di alcuni dei suoi piú stretti collaboratori. “What Happened”, `Ció che è succusso davvero’, tocca anche uno dei nodi piú scabrosi della vita di Bush, il suo presunto passato da cocainomane. La leggenda popolare vuole che il futuro presidente, che ha un passato da alcolista, ne facesse uso addirittura a Camp David, durante la presidenza del padre George H. W. Bush. McClellan non si spinge cosí in là ma, con un aneddoto, torna sulla questione. L’ex portavoce ricorda una conversazione di Bush del 1999, allora ancora governatore del Texas e candidato alla presidenza. Bush si lamentava al telefono in un albergo del Midwest con un sostenitore dell’accanimento della stampa sulla cocaina.

“I media non vogliono smetterla di parlare di queste indiscrezioni ridicole sulla cocaina – disse il presidente – la verità è che io non ricordo onestamente se l’ho mai provata. Facevamo festini da sballo a quei tempi, io non mi ricordo della cocaina”. L’interpretazione di McClellan è che la cocaina ci fosse, nei festini di Bush, ma che questi facesse il possibile per non ammetterlo neppure con se stesso. “Mi chiesi com’è possibile che una persona non ricordi se ha o no provato uno stupefacente come la cocaina. E’ una cosa priva di senso”. L’ex portavoce spiega l’incongruenza con un lato del carattere di Bush. “Non è una persona che mente apertamente”, dice, “quindi credo dicesse la verità quando parlava della cocaina. Era la prima volta che lo vedevo mentre cercava di convincersi a credere qualcosa che probabilmente non era vero, e nel profondo di se stesso, sapeva che non era vero. La ragione per la quale ha questo atteggiamento è ovvia: convenienza politica”.

Negli anni successivi, continua McClellan “Bush si convinceva a credere cose che erano utili in determinati momenti”. Un po’ come quando un testimone dice di non ricordare quello che è accaduto per non confessarlo. “Bush, in maniera simile, utilizza la confusione nella memoria per proteggersi da possibili motivi di imbarazzo. In altre parole, per Bush, essere vago o non rispondere a un questito non è altrettanto grave che mentire”. La tattica, secondo McClellan, è tornata utile anche nella decisione di ordinare l’invasione dell’Iraq sulla base di prove di intelligence gonfiate sul pericolo del programma di armanenti dell’ex dittatore Saddam Hussein.