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«Ho introdotto questa proposta per affermare la giustizia riparatrice, modernizzare le nostre normative sulla cannabis e rilanciare investimenti importanti nelle comunità e nelle piccole imprese dell’America. Ora facciamola diventare legge».  Questo il tweet con cui Jerry Nadler (deputato democratico di New York) ha salutato il voto favorevole della Camera al MORE (Marijuana Opportunity Reinvestment and Expungement) Act: 228 Sì e 164 No, riflettendo lo schieramento dei due partiti. Era la prima volta che un disegno di legge sulla cannabis arrivava al passaggio finale alla Camera, superate tutte le commissioni e gli intralci burocratici, con la maggioranza democratica riconquistata due anni fa (dal lontano 2011) a garantire questo successo storico.

La norma prevede innanzitutto la rimozione della marijuana e suoi derivati dalla Tabella I delle sostanze proibite (il Controlled Substances Act del 1970), dove si trova tuttora insieme a eroina, psichedelici, oppiacei, sedativi. Ciò eliminerebbe ogni conflitto tra le disposizioni regolatorie oggi presenti in molti Stati e quelle federali, facilitando altresì la ricerca scientifica per ulteriori applicazini mediche. E garantirebbe alle aziende del settore le stesse agevolazioni fiscali di qualsiasi altra imprenditoria, e soprattutto a quelle di afro-americani l’accesso a prestiti e altre facilitazioni (grazie a un apposito fondo alimentato da un’ulteriore aliquota federale del 5%). Elemento questo cruciale per eliminare il continuo giro di contante, con i relativi problemi di gestione e di sicurezza, che invece oggi è la norma in centinaia di negozi, insieme a condizioni più vantaggiose per l’uso di carte di credito, app specifiche e altre opzioni bancarie.

Al contempo, verrebbero cancellati condanne e incriminazioni per reati non-violenti connessi a uso e possesso di marijuana, con effetto retroattivo. Come ha chiarito Matt Gaetz, unico co-firmatario repubblicano (Florida) della proposta: «Il governo federale ha mentito ai cittadini di questo Paese per un’intera generazione, soprattutto quella dei giovani neri, incarcerati per comportamenti che non meritavano alcun intervento repressivo».

Anche per la democratica Barbara Lee (California) il punto cruciale è la giustizia razziale: «Quest’anno le disuguagliane e il razzismo sistemico sono state al centro dell’attenzione generale, e non c’è modo migliore di chiuderlo se non cancellando le distruttive policy che hanno contraddistinto il fallimento della war on drugs». Numerose le dichiarazioni sullo stesso tono di tanti parlamentari, con forti spinte per il semaforo verde anche del Senato. Passo necessario perché questa diventi legge nazionale a tutti gli effetti, ma purtroppo da escludere al momento, vista la netta opposizione della maggioranza GOP. È vero che  i due ballottaggi, su cui si vota in Georgia il 5 gennaio 2021, potrebbero portare i democratici alla parità di 50 seggi e quindi sarebbe cruciale il Sì della neo-vicepresidente Kamala Harris (a cui spetta guidare il Senato), tra l’altro prima firmataria del corrispettivo disegno di legge nell’assise “anziana”. Ma anche in quel caso andrebbero superate le cospicue resistenze di vari senatori in entrambi gli schieramenti.

Anche se, per aggirare davvero l’impasse, il neo-presidente Biden potrebbe emanare alcuni semplici ordini amministrativi mirati a declassificare la marijuana. Oppure includerne la legalizzazione nella prossima normativa per l’agricoltura, al voto nel 2023 con ampia e pre-annunciata maggioranza, come già accaduto per l’hemp (cannabis light) nel 2014.  Suggerimenti questi assai “radicali” e che presuppongo la decisa volontà del fronte democratico di procedere verso la regolamentazione federale, cosa alquanto dubbia.

Il voto alla Camera conferma comunque la tendenza complessiva: sono ormai in 36 gli Stati USA dove si applica la marijuana terapeutica e altri 15 dove vige l’uso ricreativo per i maggiorenni, mentre secondo gli ultimi sondaggi il 68% dei cittadini vede con favore la legalizzazione sull’intero territorio nazionale. Lo sottolineano le organizzazioni storiche della riforma pro-cannabis, la NORML e la Drug Policy Foundation, la cui responsabile Maritza Perez rimarca senza mezzi termini: «Oggi la Camera ha compiuto il passo più importante per risolvere questa vergognosa situazione. Ma il MORE Act è imperfetto, e continueremo a chiedere di più finché le nostre comunità non avranno il mondo che meritano».

Oltre ad ampi rilanci online e all’ovvio entusiasmo sui social media, la notizia ha prontamente ottenuto trafiletti su quotidiani cartacei di ogni livello e un veloce passaggio nei telegiornali serali dei grandi network, in qualche caso perfino tra le news locali. Non è certo poco di questi tempi, visto che il ciclo dell’informazione (e la società) statunitense è attanagliato dalla crisi del Covid-19 – con i peggiori dati al mondo per numero di morti (282.000) e di contagi (15 milioni) – e dall’altrettanto angoscioso del passaggio di consegne all’amministrazione Biden.

Infine, incoraggiante coincidenza, il voto è arrivato alla vigilia di un’importante anniversario: l’abolizione ufficiale del proibizionismo sull’alcol, il 5 dicembre 1933. Quando cioè il 21.mo emendamento alla Costituzione venne ratificato dal Congresso (e prontamente firmato dal Presidente Franklin D. Roosevelt), annullando il 18.mo emendamento proibizionista e istituendo le licenze per i negozi di liquori. Ricorrenza che non è certo sfuggita agli utenti di Twitter, dove il relativo hashtag è rimasto trending per una buona mezza giornata, incluso l’inevitabile augurio di fare quanto prima il bis con la cannabis. Eventualità  tutt’altro che campata per aria, in un prossimo futuro, Senato permettendo…