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savages.jpgDopo Wall Street 2, Oliver Stone torna al cinema con Savages, una storia criminale sullo sfondo dei cartelli della droga messicani. E ricorda la sua passione per la marijuana, della quale non ha mai fatto misteri. Savages, dal romanzo bestseller di Don Winslow, segue le vicende di un ricco surfista californiano di Laguna Beach (Aaron Johnson), coltivatore di erba, che con un amico reduce dell’ Afghanistan (Taylor Kitsch) e la donna di cui sono entrambi innamorati (Blake Lively) entra nel mercato della marijuana attirando l’ attenzione di un cartello messicano dominato dalla temibile Doña Elena (Salma Hayek) e dal suo braccio destro Lado (Benicio Del Toro). John Travolta recita il piccolo ma importante ruolo di un pezzo grosso dell’ FBI che incassa tangenti da etrambe le fazioni. Il film esce negli Usa il 6 luglio (il 19 ottobre in Italia). Dice Stone, 65 anni, durante l’ incontro a Los Angeles: «Per me Savages significava la possibilità di riscoprire il mio lato oscuro, ribelle. Se sei in grado di apprezzare l’ erba californiana, come ho fatto io per anni, non puoi non constatare che la California ha superato la Thailandia, la Giamaica e il Messico in quanto a produzione di qualità. La California sta alla “Maria” come la Francia al vino rosso». Stone, perché questo film proprio adesso? «Dopo W., World Trade Center e Wall Street 2 mi sembrava una boccata d’ aria. Ho acquistato i diritti del libro quando l’ ho visto in bozza e ho cominciato a fare ricerche. Mi piaceva che nella storia ci fossero giovani contro persone di un’ altra epoca come Benicio Del Toro e John Travolta, ventenni contro cinquantenni. Vengo dalla generazione di Easy Rider, è bello vedere giovani che difendono i loro diritti». Che tipo di ricerche ha fatto? «Ho visitato varie coltivazioni nella California del Sud, in Messico ho incontrato un boss dei trafficanti. Ci ha ospitato in un ranch bellissimo, ci ha offerto una bottiglia di tequila da 5 mila dollari, almeno così ha detto. Io non bevo molto ma quel giorno mi sono fatto parecchi bicchieri senza stramazzare: la buona tequila si riconosce come la buona erba. Ma intendiamoci, questo è un film, non un documentario. La realtà è ancora più tragica». Che cosa ne pensa della legalizzazione della marijuana? «Sono da sempre a favore. In California, fra gli Stati più progressisti d’ America, è legale anche se non a livello federale. La battaglia contro le droghe è stata un disastro fin dai primi anni 60, ogni provvedimento si è rivelato controproducente. Obama ha ereditato la politica di criminalizzazione di Reagan. Risultato: in Messico le droghe sono diventate la prima economia, più del turismo e del petrolio. Ci sono troppi soldi in gioco, serve anche alle banche. E poi la globalizzazione e il Nafta del 1991, l’ accordo nordamericano per il libero scambio, hanno distrutto l’ agricoltura e il Messico si è creato un mercato sotterraneo. È un po’ come in Italia, dove nessuno sa quanta economia sia nelle mani della mafia. Non mi sorprenderebbe se fosse il 50 per cento…». Come vede la crisi dell’ euro? «Avrei risposto meglio a questa domanda nella mia fase Wall Street. È una situazione incerta, forse anche i media fanno la loro parte. In Grecia, Spagna e altri paesi il settore pubblico deve intervenire, le banche hanno fatto fortuna contraendo crediti con i governi. Forse gli Stati dovrebbero stampare soldi propri per aggirare il giogo delle banche. E la speculazione dovrebbe essere tassata di più. Servirebbero investimenti, occupazione. Se facessero così, e liberalizzassero le droghe, staremmo tutti meglio».